La notizia ha fatto rapidamente il giro dei giornali: un gruppo di ricercatori statunitensi del Livermore National Laboratory, in California, è riuscito per la prima volta ad ottenere da una reazione di fusione nucleare – il processo che porta due nuclei atomici leggeri a combinarsi tra loro per formarne uno più pesante – più energia di quanta ne avessero impiegata inizialmente per innescarla. È un obiettivo per cui migliaia di scienziati sono a lavoro da decenni, anzi, «da oltre 60 anni», come ha detto la segretaria americana all’Energia, Jennifer Granholm, in conferenza stampa. Un risultato che schiude le porte a quello che, con un certo gusto per il paragone ad effetto, è stato ribattezzato il “santo Graal dell’energia”. Ma che necessità di essere ben spiegato e divulgato nella sua complessità.
Anche se negli ultimi anni in materia sono stati raggiunti risultati soddisfacenti grazie a esperimenti ben riusciti, nessuno era mai arrivato così lontano come il team del Lawrence. Chiariamo subito un punto, fondamentale per evitare sensazionalismi: questo risultato non cambierà le nostre vite, almeno non al momento. È ancora troppo presto per pensare di costruire centrali a fusione nucleare che producano energia pulita in abbondanza. Alcuni studiosi, anzi, ritengono che così in alto non ci arriveremo mai. I più ottimisti, al contrario, credono che tale modo di generare energia non sia impossibile da riprodurre su larga scala e con una certa continuità. Anche in questo caso, però, ci vorranno almeno venti, o trent’anni ancora per ottenere risultati più concreti. Un tempo troppo lungo che ad oggi non possiamo permetterci di prendere nel caso in cui si vogliano rispettare i limiti alle emissioni di CO2 sottoscritti a livello internazionale.
Detto questo: l’obiettivo centrato dagli statunitensi è comunque – giustamente – considerato un passo notevole, che merita di essere raccontato e chiarito. Prima di tutto distinguendo la fissione nucleare – a cui siamo già abituati – dalla fusione, quella innescata dai ricercatori americani. Ad oggi, le attuali centrali nucleari sparse in tutta Europa – e non solo – e di cui si è tornati a discutere dopo la crisi energetica causata dalla guerra in Ucraina, creano energia elettrica attraverso la fissione nucleare. Si tratta di un processo che induce i nuclei di alcuni atomi pesanti (tra cui gli isotopi plutonio 239 e uranio 235) a spezzarsi. Da tale “frattura” si generano nuclei più piccoli, cioè con numero atomico inferiore (dato dal numero di protoni nel nucleo). Questo processo libera una grande quantità di energia termica, che le centrali sfruttano, dopo una serie di processi di trasformazione, per muovere le turbine e produrre energia elettrica.
È un procedimento che ha i suoi vantaggi: genera energia a basso costo e ha un impatto ambientale minore rispetto ai processi che utilizzano combustibili fossili. Tuttavia ci sono almeno un paio di “contro”, punti a cui le persone contrarie alle centrali si appellano spesso: la pericolosità della reazione, che deve essere seguita in ogni sua fase per evitare che se ne inneschi una non voluta, con gravi conseguenze, e la produzione di scorie radioattive, gli “scarti” del processo che hanno bisogno di specifici trattamenti e luoghi in cui essere conservati.
Motivi per cui da decenni i ricercatori tentano in sostituzione la strada della fusione, un processo che imita ciò che accade all’interno del Sole, ma che è difficile replicare sulla Terra. Se nella fissione, come abbiamo detto, i nuclei degli atomi più pesanti vengono spezzati, nel caso della fusione avviene esattamente l’opposto: i nuclei leggeri (è il caso dell’idrogeno, ad esempio) si uniscono a formarne di più pesanti. Tale passaggio rilascia enormi quantità di energia, senza emettere anidride carbonica. Per questo motivo, se si riuscisse ad utilizzare la fusione nei processi quotidiani, avremmo energia pulita, immetteremmo decisamente minore quantità di gas serra nell’ambiente, non ci troveremmo a dover gestire le scorie radioattive della fissione (la fusione produce rifiuti trascurabili), e ridurremmo al minimo i rischi di disastri nucleari. Inoltre i reagenti utilizzati nella reazione sono facilmente reperibili e impiegandone pochi grammi è possibile produrre l’energia di cui ha bisogno una persona in un paese sviluppato in sessant’anni.
In generale l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (iaea) dice che «la fusione potrebbe generare quattro volte più energia per chilogrammo di combustibile rispetto alla fissione (utilizzata nelle centrali nucleari) e quasi quattro milioni di volte più energia rispetto alla combustione di petrolio o carbone».
Tuttavia, come accennato, è un processo che, seppur appaia piuttosto “semplice”, in realtà è molto complicato da replicare, principalmente per il comportamento degli atomi. Questi, per loro natura, tendono a respingersi tra di loro. Per questo motivo, “convincerli” a fondersi implica l’utilizzo di temperature al di fuori della nostra immaginazione, quelle per intenderci raggiunte all’interno del Sole – o nelle altre stelle. Qui si toccano i dieci milioni di gradi Celsius, temperatura che fornisce ai nuclei la forza necessaria per superare la loro reciproca repulsione elettrica, permettendogli di unirsi. Si intuisce che replicare un processo simile sulla Terra implica un dispendio di energia enorme, superiore a quanta poi se ne ricava: è sempre stato così, tranne che per l’episodio californiano.
Non sappiamo quando e se tale evento possa ricapitare. Fare previsioni è impossibile, ma gli investimenti continuano ad arrivare. Ad oggi si sta cercando di raggiungere un punto di fusione con soluzioni alternative, tra cui quella dei Tokamak, enormi macchine in grado di produrre al proprio interno il vuoto e un campo magnetico, elementi che obbligano i nuclei degli atomi ad avvicinarsi ed unirsi, oppure con l’utilizzo di potenti laser. D’altronde la posta in gioco è effettivamente molto alta, e se si riuscisse per davvero a generare energia in maniera differente da come facciamo oggi, ci si troverebbe di fronte ad una vera rivoluzione energetica.
[di Gloria Ferrari]
Me lo ricordo anch’io Eraldo. Non con la tua precisione, ma mi ricordo il fatto. Come sempre i soldi di qualcuno comandano la vita di tutti gli altri.
Martin Fleischmann e Stanley Pons sono stati i primi veri pionieri della fusione fredda, ingiustamente ostacolati per l’interesse di chi aveva investito nella fissione. 23 marzo 1989, me lo ricordo benissimo.