domenica 22 Dicembre 2024

Un’azienda italiana complice del disboscamento delle terre indigene: la denuncia di Survival

Survival International, l’associazione internazionale dedita alla tutela delle popolazioni indigene nel mondo, ha presentato all’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico dei Paesi membri) un’istanza contro la conceria italiana Pasubio, fornitrice di case automobilistiche quali Jaguar Land Rover e BMW. L’azienda acquisirebbe infatti i pellami da concerie colpevoli di occupare e disboscare illegalmente le terre ancestrali della popolazione Ayoreo Totobiegosode, nella pianura paraguaiana del Gran Chaco. Le foreste del Chaco soffrono infatti di uno dei più alti tassi di deforestazione al mondo, la quale mette a rischio la sopravvivenza delle popolazioni incontattate che vivono delle sue risorse.

In un comunicato Survival ha infatti fatto sapere di aver inviato lettere di diffida alle due aziende italiane leader della realizzazione di volanti, sedili ed interni in pellame, ovvero la Pasubio Spa e il Gruppo Mastrotto Spa. Entrambe, riferisce Survival, “si riforniscono da concerie che commerciano con allevamenti colpevoli di occupare la terra ancestrale degli Ayoreo e quella dei loro gruppi isolati e di disboscarla illegalmente mettendo a rischio la loro stessa sopravvivenza”. Tuttavia, mentre il Gruppo Mastrotto avrebbe “avviato un dialogo”, Pasubio Spa non ha mostrato la medesima volontà di confronto, motivo per cui l’organizzazione ha deciso di ricorrere all’OCSE.

Secondo due rapporti della ONG britannica Earthsight, citati da Survival, pressoché due terzi delle pelli esportate dal Paraguay ogni anno sono destinate ad aziende italiane, Pasubio in primis. Secondo quanto riferito da Survival, il 98% delle pelli che l’Italia importa dal Paraguay proviene da 4 concerie che commerciano con allevamenti colpevoli di occupare e disboscare illegalmente la terra ancestrale degli indigeni del Chaco. E Pasubio ne è il principale destinatario. La condotta dell’azienda, che non rispetta così le linee guida OCSE in materia di tutela di diritti umani, ambiente e consumatori, alimenta la deforestazione illegale e viola i diritti della popolazione Ayoreo Totobiegosode, che dalla foresta dipendono per vivere. Il contatto forzato con popolazioni che vivono isolate, inoltre, mette queste ultime a rischio di contagio di malattie che, come accaduto innumerevoli volte in passato, ne causa la decimazione. Teresa Mayo, responsabile della campagna di Survival, denuncia la complicità del governo paraguaiano, che «ha consegnato la maggior parte del territorio ancestrale degli Ayoreo ad aziende agroindustriali che abbattono la foresta senza sosta: prima tagliano gli alberi preziosi, poi incendiano la foresta e infine introducono il bestiame sulla terra disboscata».

“Sebbene la pelle di una mucca rappresenti solo il 10% del valore totale dell’animale al momento della macellazione, essa rappresenta una proporzione molto più alta del valore finale di vendita” denuncia Survival. Secondo i dati FAO (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), infatti, le esportazioni globali di pelli grezze e finite costituiscono un mercato da ben 28,5 miliardi di dollari, l’equivalente di quello delle esportazioni di carne bovina (29,2 miliardi di dollari). Le previsioni, inoltre, sono che la domanda di pelle destinata al mercato automobilistico aumenterà di oltre il 5% all’anno fino al 2027.

Per sensibilizzare maggiormente il pubblico sulla vicenda, Survival ha lanciato sui social la campagna #SullaPelledegliAyoreo, nell’ambito della quale chiede ai sostenitori di “informare le case automobilistiche dell’impatto devastante che le pelli paraguayane hanno sulla vita degli Ayoreo Totobiegosode e sulle loro foreste, e di sollecitare i loro fornitori a interrompere tali importazioni”.

Nonostante i nostri ripetuti tentativi di contattare l’azienda, Pasubio Spa non ha voluto rilasciare commenti sulla vicenda.

Nota: la foto di copertina è stata gentilmente concessa in uso dal sito www.survival.it.

[di Valeria Casolaro]

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