L’Italia ha una grossa opportunità: provare a cambiare il futuro, in meglio, di alcuni suoi territori. L’Europa infatti destinerà alle casse del nostro Stato più di un miliardo di euro – dei 17,5 totali a disposizione – nell’ambito del programma Just transition fund (JTF) 2021-2027 per “una transizione climatica giusta” di Taranto (con la sua Ilva) e il territorio del Sulcis, in Sardegna. Il denaro stanziato dalla Commissione europea, in altre parole, ha lo scopo di riconvertire i territori interessati, dandogli una nuova spinta economica non basata più sul fossile ma orientata verso una riabilitazione ambientale. Il Fondo di fatto è uno strumento finanziario che mira proprio a fornire assistenza a tutti quei territori che, più di altri, dovranno affrontare delle sfide socio-economiche importanti per intraprendere la strada della neutralità climatica, adeguandosi al resto del Paese.
Al momento però, oltre alle indicazioni generali date dall’UE, non ci sono ancora progetti veri e propri a livello nazionale per spendere il denaro. La seconda fase del programma prevede comunque la predisposizione di bandi e quindi la presentazione di “idee” più concrete, in linea con le direttive europee. Il timore, giustificato, è che l’Italia perda, ancora una volta, una grossa opportunità, ad oggi quanto mai urgente.
Infatti per raggiungere gli obiettivi climatici bisognerà spingere soprattutto verso una maggiore produzione di energia pulita, trasformando ad esempio gli impianti ad alta intensità di carbonio presenti. Senza dimenticare, però, di occuparsi della ricollocazione dei lavoratori. Sarà infatti al centro del JTF la diversificazione economica e la creazione di posti di lavoro in settori verdi, tra cui quello dell’energia rinnovabili. L’obiettivo è infatti che nessuno rimanga indietro o ne esca svantaggiato. «Il programma italiano è mirato e specificamente concepito per supportare le regioni alle prese con una trasformazione impegnativa nel settore del carbone e dell’acciaio», ha dichiarato Elisa Ferreira, commissaria per la Coesione e le riforme. Questo avverrà principalmente sostenendo le piccole e medie imprese: nel piano territoriale per la provincia di Taranto, quindi, non è previsto alcun sostegno diretto per l’ex Ilva, l’acciaieria che nel 2021 ha registrato un fatturato da 3,3 miliardi di euro. Un cambiamento difficile da realizzare senza i giusti investimenti e i giusti progetti. Ergo, abbiamo bisogno di farcela.
Nello specifico le risorse del JTF nazionale saranno così suddivise: 796 alla provincia di Taranto e 367 milioni di euro al Sulcis Iglesiente. Gli altri 48,4 milioni sono invece destinati all’assistenza tecnica. In generale i fondi dovrebbero essere impiegati in questo modo.
Partiamo con la Puglia. “La transizione climatica della provincia di Taranto è condizionata dalla presenza della più grande acciaieria d’Europa: Acciaierie d’Italia (ex Ilva)” ha scritto la Commissione europea in una nota. Motivo per cui, la maggior parte del denaro a disposizione, sarà per ovvi motivi impiegata a creare nuovi modelli imprenditoriali, che pian piano sostituiscano quelli basati sull’acciaio, incentivandoli a utilizzare maggiormente energia rinnovabile. Senza dimenticare però che quell’acciaio, fino ad oggi, ha permesso a centinaia di famiglie di pagare le bollette. Nella provincia di Taranto infatti un terzo dei lavoratori dell’industria è impiegato nel settore siderurgico e per questo il Fondo – che in Puglia riguarderà 29 comuni – ha l’obiettivo di formare più di 4mila lavoratori per reimpiegarli in posti di lavoro collegati all’energia pulita.
Tra le altre cose la Commissione europea ha dichiarato che il denaro servirà anche a costruire nuove turbine eoliche e nuovi impianti geotermici per gli edifici, e a creare una “cintura verde” intorno alla città di Taranto, installando parchi urbani e aree naturalistiche che «contribuiranno al ripristino dei terreni degradati e alla riduzione delle emissioni di CO2».
Per quanto riguarda il Sulcis Iglesiente, un’area che interessa 23 comuni sardi (tra cui Carbonia, Iglesias, Piscinas e Portoscuso) dove ha sede l’ultima miniera di carbone italiana – l’obiettivo è piuttosto simile a quello pugliese. Nello specifico i fondi saranno principalmente destinati a finanziare le microimprese, spingendole a innovare i propri processi e in generale tutta la catena di produzione, dalla A alla Z. Una grossa spinta arriverà anche per le start-up, soprattutto quelle che proporranno progetti di ricerca in chiave di economia circolare. Motivo per cui il Fondo ha previsto per più di 2mila lavoratori corsi di formazione improntati all’acquisizione di nuove competenze, rafforzando allo stesso tempo le strutture che aiutano i lavoratori a cercare un nuovo impiego. È in cantiere, tra l’altro, l’idea di creare sul territorio un grosso centro di produzione di energia pulita e uno per il suo accumulo.
Ricordiamo infatti che l’Italia ha dichiarato di voler bloccare la produzione di energia elettrica derivata dal carbone entro il 2025, come previsto dal Piano nazionale per l’energia e clima (anche se gli eventi degli ultimi anni rischiano di far saltare la scadenza). In quest’ottica «è evidente che ora la priorità è la decarbonizzazione, che vada di pari passo con l’innovazione energetica, ambientale e sociale. Soprattutto sarà necessario avere tempi certi e rapidi, perché Taranto e la Puglia non possono più aspettare», hanno dichiarato Ruggero Ronzulli presidente di Legambiente Puglia e Lunetta Franco presidente del circolo di Taranto. E non può più aspettare neppure la Sardegna, e l’Italia intera.
[di Gloria Ferrari]