Nel pomeriggio del 25 dicembre sette giovani, tra i 17 e i 19 anni, sono riusciti a evadere dal carcere minorile Cesare Beccaria di Milano, struttura in cui si trovavano in attesa di processo per aver commesso furti e rapine. Due di loro sono stati trovati e riportati in carcere poco dopo la fuga, un altro invece si è costituito il giorno dopo, convinto dai familiari. Nel frattempo nell’istituto si è verificata anche una rivolta degli altri ragazzi detenuti. Oltre alla notizia in sé, ampiamente raccontata nelle scorse ore, il punto è un altro: Cosa ci raccontano fatti come questo sullo stato delle carceri minorili in Italia?
Stando alle prime ricostruzioni, frutto di un collage di informazioni tra quanto detto dai sindacati e quanto invece dichiarato dagli agenti di polizia penitenziaria, pare che i ragazzi siano riusciti a distrarre il poliziotto che vigilava le attività pomeridiane, chiedendogli di poter avere un pallone per giocare. Approfittando dell’assenza di controllo e dei lavori di ristrutturazione di una parte del perimetro della struttura, i sette sono riusciti a ricavarsi uno spazio nella recinzione. Da lì scavalcare il muro di cinta è stato piuttosto semplice. Sorprende che protagonista di tale episodio sia stato proprio l’istituto Cesare Beccaria, per anni considerato modello assoluto da seguire in tutta Italia. «Non è possibile evadere così semplicemente», ha commentato il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, annunciando la sua visita immediata al carcere.
Le possibilità si moltiplicano, invece, se quei lavori in corso e quelle impalcature, presenti ormai da 15 anni (anche se la ristrutturazione sarebbe dovuta durare non più di tre) finiscono per diventare complici della fuga. Andrea Ostellari, sottosegretario alla Giustizia del Governo Meloni, dice che i piani prevedono la fine dei cantieri entro aprile 2023 e che i ritardi sarebbero scaturiti in seguito a problemi con l’assegnazione di alcuni appalti.
In realtà, come vi abbiamo più volte raccontato su L’Indipendente, il problema delle carceri non è solo fuori: è soprattutto dentro. L’associazione Antigone, che da anni si interessa della tutela dei diritti e delle garanzie nel sistema penale e penitenziario, ha più volte segnalato alcune criticità nella struttura. Le stesse che, con uno sguardo a 360 gradi, si ripetono in tutti gli istituti. Celle troppo piccole, sovraffollamento (i dati dicono che l’occupazione è superiore alla capienza in 6 istituti su 15) mancanza di personale e attività rieducative che alla fine non portano da nessuna parte. E sempre più suicidi. Pare che proprio all’interno del Beccaria molte delle attività in calendario siano cancellate per mancanza di partecipazione da parte dei ragazzi o per mancanza di agenti. Tali mancanze possono alcune volte alimentare un sentimento di frustrazione e rabbia. “Il clima detentivo appare piuttosto teso […] si percepiscono dinamiche volte ad enfatizzare la leadership di alcuni a scapito di altri, ma anche un percepibile livello di apatia e assenza da parte di numerosi ragazzi”, scrive Antigone.
Tant’è che dopo la fuga dei 7 ragazzi, nell’istituto ha preso il via una vera e propria rivolta e alcuni detenuti hanno incendiato materassi e oggetti. Sarà che una parte delle colpe spetta anche all’assenza di un’organizzazione solida a monte. Sono circa vent’anni che la struttura lamenta l’assenza, oltre che di personale, anche di un direttore stabile, figura fino ad ora coperta da gestori “emergenziali” incaricati e deposti continuamente. La situazione generale dunque è piuttosto caotica. Giuseppe Cacciapuoti, direttore generale del personale del Dipartimento per la Giustizia Minorile, dice che sono previste assunzioni di nuovi educatori e 57 nuovi direttori per gli istituti penitenziari in tutta Italia. Andrea Delmastro, deputato di Fratelli D’Italia, ha alzato ancora di più il tiro: «Abbiamo la necessità su 190 carceri di trovare 190 direttori e 190 comandanti, e li troveremo. Come di aumentare educatori e psicologi per evitare i suicidi. Poi serve un intervento serio sull’edilizia penitenziaria. Aumentare l’organico di polizia penitenziaria serve per umanizzare la pena, migliorando il servizio».
Parole che suonano in contrasto con quanto previsto dal testo della legge di Bilancio 2023, votato qualche giorno fa dal governo Meloni – e che dovrà essere definitivamente approvato entro la fine dell’anno. Fra tutti i tagli che l’esecutivo ha annunciato di voler introdurre c’è anche quello sulla giustizia, che comprende, tra le altre cose, la riduzione del personale penitenziario, già sotto organico. Non sfuggirà ai tagli nemmeno il Dipartimento di giustizia minorile, a cui è stato chiesto di tirare la cinghia per risparmiare all’anno almeno 331.583 euro per il 2023, 588.987 per il 2024 e 688.987 dal 2025, attraverso “l’efficientamento dei processi di lavoro nell’ambito delle attività per l’attuazione dei provvedimenti penali emessi dall’Autorità giudiziaria e la razionalizzazione della gestione del servizio mensa per il personale”.
[di Gloria Ferrari]