Ieri, in Brasile, ha avuto luogo la cerimonia d’insediamento di Lula da Silva, il primo presidente a raggiungere il record di tre mandati nel Paese. Nel suo lungo discorso, seguito in presenza da oltre 300mila brasiliani, Lula ha fatto riferimento ai successi ottenuti nei suoi due precedenti mandati, in particolare nella lotta alla fame e alle disuguaglianze e sul rispetto dei diritti umani. Il “presidente di tutti”, come si è definito Lula, dovrà fare i conti con la difficile eredità del suo predecessore, Jair Bolsonaro, caratterizzata da tagli al welfare, militarizzazione delle istituzioni e deforestazione. Al riguardo, il nuovo capo di Stato ha dichiarato che al centro della sua presidenza ci sarà la tutela dell’Amazzonia. Un impegno che fa ben sperare ma che nasconde una svolta complicata, tra pressioni interne ed esterne e un programma ambientalista con diversi coni d’ombra.
Dal 2003 al 2011, gli anni in cui Lula ha governato il Brasile, la deforestazione è diminuita da 27.700 chilometri quadrati all’anno a 4.500 chilometri quadrati all’anno. Una svolta resa possibile soprattutto dalla creazione di aree di conservazione e riserve indigene. 13 anni dopo, Lula rilancia l’importanza di questi temi revocando alcuni decreti dell’ex presidente Bolsonaro. Tra questi figura la disposizione che aveva reso inattivo il Fondo Amazzonia, finanziato da Norvegia e Germania. Gli stanziamenti servivano a promuovere progetti di sviluppo sostenibile e di monitoraggio delle aree devastate dal disboscamento illegale o dall’agricoltura intensiva. Confermata poi la nomina per la prima ministra indigena del Paese. Si tratta di Sonia Guajajara, la quale guiderà il ministero dei Popoli indigeni al fine di garantire l’accesso all’istruzione e alla salute alle popolazioni native, oltre alla difesa del loro territorio e alla lotta contro le violenze. Un cambio di rotta rispetto alle politiche anti-indigene del predecessore Bolsonaro, di cui avevamo parlato in un reportage. La svolta potrebbe comportare delle conseguenze positive anche in termini di tutela ambientale. A rafforzare questa possibilità anche la nomina, al ministero dell’Ambiente, di una ministra originaria dell’Amazzonia.
La lotta alla deforestazione, annunciata da Lula, potrebbe tuttavia incontrare diversi ostacoli. Innanzitutto, va ricordato che la maggioranza del Congresso è saldamente in mano al Partito Liberale di Bolsonaro, che negli ultimi anni si è reso responsabile di un peggioramento delle condizioni ambientali del Brasile. Nel 2019, oltre un milione di ettari di foresta amazzonica sono stati abbattuti: un’area maggiore del 120% rispetto al 2012, anno in cui il disboscamento aveva raggiunto i minimi storici. All’interno del Congresso a trazione bolsonarista operano le lobby dei settori agricoli e della pastorizia, che pressano per sfruttare le risorse naturali del Paese senza impedimenti legali. L’agrobusiness che devasta l’Amazzonia non è stato affrontato con politiche adeguate da parte di Lula durante gli anni del mandato. Tale ambiguità frena l’entusiasmo di diverse associazioni ambientaliste, preoccupate anche da un programma modificato durante la corsa elettorale.
L’obiettivo della deforestazione zero è stato, ad esempio, sostituito in corsa da quello della “deforestazione liquida zero”. Ciò significa che a ogni ettaro di terra deforestata dovrà corrispondere il rimboschimento di un altro ettaro. Un traguardo un po’ meno ambizioso rispetto al punto di partenza, figlio forse di compromessi per raggiungere i voti degli “indecisi”. Il nuovo presidente non ha poi parlato di una riduzione dell’estrattivismo petrolifero e si è detto favorevole all’autostrada in Amazzonia: l’infrastruttura – appoggiata in precedenza da Bolsonaro – consisterebbe nella ricostruzione e nell’asfaltatura dell’attuale BR-319 (una lunga lingua di sterrato), che unisce Manaus al resto del Brasile. Un progetto presentato da Lula come un capolavoro di “crescita e sviluppo”, criticato invece dalle associazioni ambientaliste e per i diritti degli indigeni a causa del suo impatto sull’area circostante.
[di Salvatore Toscano]