venerdì 27 Dicembre 2024

Ucraina, la vera storia: intervista a Nicolai Lilin

Nicolai Lilin è uno scrittore, tatuatore e artista russo di origine siberiana con cittadinanza italiana. Nato nel 1980 in Transnistria, in Unione Sovietica, è divenuto conosciuto in Italia con il suo romanzo di esordio, Educazione Siberiana, pubblicato nel 2009. Studioso di storia e attento osservatore dell’attualità dell’area ex sovietica, dall’inizio del conflitto in Ucraina è una delle rare voci fuori dal coro talvolta presenti nei salotti del mainstream mediatico. Ha da poco pubblicato il libro Ucraina, la vera storia (edizioni PIEMME) che racconta l’identità storico-politica dell’Ucraina e, con questa, le ragioni profonde che hanno portato al conflitto dapprima con la minoranza russa del Donbass e poi con la Russia. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per una chiacchierata su questo e, più in generale, sull’attualità del conflitto.

Ucraina, la vera storia: già dal titolo del libro lei lascia intendere che esista una storia ampiamente diffusa ma falsa, che il testo si occupa di confutare. Quali sono le informazioni parziali o le menzogne che hanno contribuito a distorcere la conoscenza dell’opinione pubblica sulla guerra in corso?

Ciò che noi in Italia conosciamo dell’Ucraina è un insieme di informazioni distorte, derivate dalla nostra incapacità occidentale di esprimere in maniera coerente i processi geopolitici che hanno avuto luogo in Unione Sovietica dopo il crollo del comunismo. La storia dell’Ucraina non è conosciuta come questo momento storico richiederebbe, tanto meno da parte di chi si lancia in facili analisi. Con questo libro volevo dare la possibilità alle persone, politici e giornalisti, di affacciarsi a questa situazione. Quando è cominciata questa guerra è stato chiaro che gran parte di loro non sapesse niente dell’Ucraina, tanto che alcuni in diretta televisiva commettevano errori geografici, non riuscendo a capire dove si trovavano certe regioni o sbagliandone la pronuncia, o senza saper indicare dove fosse l’Ucraina sulla cartina. Si tratta da un lato di una palese mancanza di informazione, dall’altro di pregiudizi culturali legati all’epoca del crollo dell’Unione Sovietica, in base ai quali in Occidente abbiamo un’immagine dell’Ucraina come Paese libero invaso dall’Impero. L’Ucraina prima della metà del diciannovesimo secolo non è esistita. Era una regione dell’Impero russo e aveva il nome di Malorossiya, ovvero Piccola Russia. Anche geograficamente era diversa da com’è oggi. Per parlare della guerra attuale è necessario conoscere le basi della Storia. Nel mio libro ho cercato di spiegarle, raccontando a grandi linee la creazione dell’Ucraina, avvenuta in due fasi ben distinte. La prima riguarda la creazione dell’identità dell’Ucraina, ovvero quando i suoi abitanti – prima definiti russini – hanno cominciato a chiamarsi ucraini. Questo è avvenuto dopo il 1863, con il fallimento della seconda rivoluzione polacca nella quale gli intellettuali polacchi, che ebbero la peggio contro il regime zarista russo, cominciarono a fare un lavoro propagandistico nelle regioni remote dell’impero. In questo modo corruppero il potere zarista nelle regioni vicine all’Impero austro-ungarico, vicino alla Polonia. Nacque così il movimento detto ucrainofilo e, di conseguenza, l’identità ucraina: per mano dei polacchi, e con il sostegno economico e militare degli austro-ungarici. Fu un lavoro di propaganda unito alle minacce di interventi sul territorio contro i contadini, i quali furono così costretti a cambiare la loro identità. La seconda parte inizia nel 1917, quando arrivarono i comunisti e fu creata l’Unione Sovietica. Data la loro visione multiculturale, socialista e internazionalista della società, i comunisti fecero di tutto per far emergere, all’interno dell’Impero russo, le differenze etniche mentre l’Impero cercava di spianarle. Per i comunisti la questione dell’etnia divenne fondamentale, tanto che uno dei primi e più brillanti lavori di Stalin fu La questione nazionale, nel quale viene spiegata la visione del comunismo internazionalista. Fu in base a questo che furono creati tutti i Paesi asiatici ex sovietici (Turkmenistan, Kazakistan, Kurdistan eccetera) e così è stata creata anche l’Ucraina. Nel 1917, grazie a personaggi storici come Lenin, Kaganovic e Stalin, l’Ucraina divenne una struttura geopolitica, seppure con confini molto diversi da oggi. Poi fu creato il governo ucraino. La creazione dell’Ucraina è avvenuta all’interno dell’Unione Sovietica, perché è uno Stato appendice creato dal partito comunista in funzione geopolitica. Questa, a grandi linee, è la storia dell’Ucraina che non viene raccontata in occidente e che dovremmo avere bene in testa per comprendere perché in questi territori adesso c’è una guerra sanguinosa, quest’euforia dei nazionalisti contrapposta ai filorussi fedeli ai vecchi simboli del comunismo. Per capirlo dobbiamo partire dalla storia.

Un approccio del genere, tutto incentrato sulla genesi storica della nazione ucraina, non rischia di tramutarsi in una negazione del suo stesso diritto all’indipendenza? I nazionalisti russi si appoggiano proprio alla storia per sostenere come l’Ucraina, in fondo, sia nient’altro che una propaggine di Mosca incidentalmente e momentaneamente indipendente. Lei ritiene che l’Ucraina abbia diritto a esistere come nazione indipendente?

Senza dubbio, l’Ucraina ha il diritto ad esistere come nazione indipendente. Ma è importante conoscere le condizioni per le quali l’Ucraina ha perso la sua indipendenza dal 1991. La tragedia di questo Paese, come spiego nel libro, sta nel fatto che prima del 1991 non è mai stata indipendente e non ha potuto coltivare una cultura politica indipendente. È importante comprendere che si tratta di un Paese differente, ad esempio, dai Paesi baltici, dove vi è un’etnia dominante. L’Ucraina è divisa grossomodo in tre fazioni. La prima corrisponde alla zona occidentale di Galizia, dove abitano le persone che guardano più agli ideali occidentali, ai polacchi, all’impero austro-ungarico, a quello rumeno e anche al cattolicesimo. Attraverso la Polonia e l’Austro-Ungheria la Chiesa cattolica entrò in quelle zone e fece molti adepti. La zona centrale è invece stata storicamente dominata da diverse nazione, mentre la zona a sud-est è abitata a stragrande maggioranza da persone di etnia russa che pensano che la Russia sia la loro patria. Il Paese ha diverse identità al suo interno, staccate dopo il crollo dell’Urss senza che vi fosse un governo forte né una cultura indipendentista. Per questo sin da subito l’Ucraina è stata oggetto di speculazioni, tanto interne quanto esterne. Mentre provavano a ottenere l’indipendenza arrivano al potere gruppi nazisti, cominciava una guerra civile, il Paese diventava preda delle mire imperialistiche dei russi da una parte e delle manipolazioni statunitensi dall’altra. Si tratta di un caos in buona parte dovuto proprio alla mancanza di una cultura dell’indipendenza.

Questo conflitto era inevitabile per via delle diverse coscienze nazionali presenti nella nazione? O forse con una gestione più rispettosa dei diritti delle varie minoranze – a partire da quella in Donbass dove, lo ricordiamo, era in corso già dal 2014 una guerra civile – sarebbe stato possibile evitare questa escalation e magari anche l’invasione russa?

La questione della differenza etnica all’interno di uno Stato non è mai un problema se esiste una cultura politica in grado di mandare avanti un Paese con questo tipo di struttura sociale. La differenza etnica diventa problematica quando ci sono in gioco forze politiche che la usano per creare contrasti all’interno della società e portare avanti programmi legati alla guerra, agli scontri, alla destabilizzazione della situazione interna del Paese. L’abbiamo visto in Jugoslavia: in Ucraina è accaduto lo stesso. Qui il problema non è la diversità etnica interna, quanto il fatto che Paesi potenti si sono interessati all’Ucraina e hanno deciso di sfruttare questa diversità, che potrebbe essere una risorsa per il Paese. Se manca una classe politica in grado di gestire questo tipo di struttura sociale, arrivano forze esterne interessate che investono nel fomentare la guerra tra le etnie interne allo Stato. Questa è l’Ucraina dal momento del crollo dell’Unione Sovietica: l’occidente non ha fatto altro che favorire i nazionalismi e portare allo scontro. Un conflitto che è anche culturale, tra due modelli di vita: quello occidentale e quello russo. Quest’ultimo è un modello che ancora conserva una visione di vita basata sulla coscienza sindacale – sviluppata con la cultura sovietica – per la quale tutti erano uguali e godevano di uguali diritti, tutti dovevano lavorare allo stesso modo per vivere, dove non c’erano ricchi né poveri ma una classe media nella quale tutti avevano uguali diritti sociali indipendentemente dall’etnia e dalla provenienza. Non esistevano classi. Questi due sistemi, insieme con le etnie e tutte le stratificazioni sociali di cui abbiamo parlato, sono entrati in guerra tra di loro quando gli USA hanno pagato, organizzato e portato avanti il cambio illegale del governo ucraino, quello che avvenne nel 2014. Il popolo era martoriato dalla propaganda e dalle difficoltà economiche dovute alla criminalità e alla corruzione del proprio governo il quale, dal momento del crollo dell’Unione Sovietica, non ha fatto altro che rubare. C’era scontento della popolazione nei confronti di una classe politica che non risolveva le questioni in maniera diplomatica, attraverso un percorso costituzionale: gli USA hanno sostenuto un colpo di Stato e hanno portato così al potere i nazionalisti, legalizzando di fatto il nazismo. Oggi mi sento di dire che il problema più grave in Ucraina è la totale legittimazione del nazismo hitleriano.

In questo conflitto culturale e di visione di società nascono anche le spinte indipendentiste del Donbass?

Sì, dopo il colpo di stato del 2014 quella parte di Paese costituita da russofoni con una cultura tipicamente molto lontana dai loro concittadini che guardano ad occidente, si è ribellata verso il nuovo governo centrale. Inizialmente non hanno chiesto la separazione e non sono voluti andare in Russia: hanno chiesto il riconoscimento di uno statuto speciale con una rappresentanza parlamentare e il riconoscimento del russo come lingua regionale. Invece, la prima legge che hanno fatto i parlamentari della nuova coalizione portata al potere dagli americani è stata quella di togliere alla lingua russa lo statuto ufficiale. Lì è stato fatto un primo passo verso la guerra: la popolazione ha capito che doveva difendersi dal proprio governo. La problematica dell’Ucraina oggi non è etnica, come vogliono farci credere i media, ma deriva dal fatto che USA e NATO hanno investito in un nazionalismo che ha schiacciato le minoranze. Senza di loro non vi sarebbe stata nessuna guerra, se ci fosse stato un esecutivo in grado di governare oggi forse l’Ucraina sarebbe uno dei Paesi più ricchi d’Europa. Ma non è stato così.

È lecito in qualche modo affermare che cultura russa e ucraina siano gemelle che si è tentato a un certo punto di separare?

Non sono gemelle, sono proprio la medesima cultura. Almeno fino a quando l’Ucraina non ha deviato dalla cultura russa su pressione occidentale. Se si legge ad esempio La guardia bianca di Bulgakov questo emerge chiaramente.

Anche se la narrazione mainstream tende a raccontare il sistema di potere ucraino come una democrazia compiuta quasi di stampo liberale, sappiamo invece che nel Paese hanno peso specifico notevole gli oligarchi. Lo stesso Zelensky è un ex attore comico entrato in politica come prodotto di un disegno oligarchico. Inoltre i giornalisti in Ucraina vivono in un regime di censura e diversi di essi sono scomparsi o sono stati uccisi in strane circostanze, anche ben prima dell’inizio della guerra. Anche in questo Ucraina e Russia sono Paesi molto simili?

No, sono totalmente differenti. La Russia è un Paese autoritario, dove gli oligarchi non esistono più da tempo. Solo una certa narrazione occidentale continua a straparlare degli oligarchi russi. Putin li ha fatti uccidere tutti, quelli rimasti sono stati privati delle loro intenzioni oligarchiche – e quindi politiche – e si sono trasformati semplicemente in uomini molto ricchi. Il potere lo detiene Putin e sotto di lui vi sono i servizi, l’esercito e così via: la struttura politica è totalmente sotto il suo controllo. Gli oppositori possono esprimersi, ma fino a un certo punto. L’Ucraina è un Paese dove non c’è mai stato un presidente o un leader politico come può essere Putin per la Russia e allo stesso tempo non è neppure una democrazia compiuta. È un Paese dominato da grandi sistemi oligarchici, dove le famiglie potenti tengono sotto controllo l’esercito, i servizi segreti, e in buona sostanza il governo stesso.

Qual è il peso specifico dei gruppi neonazisti nella società e nel sistema di potere politico ucraino?

Un gruppo di estremisti non può disegnare la politica di un intero Paese. In tutti gli Stati esistono estremismi, persino in Russia. In Ucraina il problema principale non sono gli estremisti, ma la loro unione con le strutture governative. I nazisti sono nel governo e persino nell’esercito, dove hanno integrato illegalmente simboli del Terzo Reich. Il problema è che personaggi come Stepan Bandera e Roman Shukhevych, dei quali l’Ucraina dovrebbe vergognarsi, sono venerati a livello statale. Il primo è diventato ufficiale delle SS, il secondo comandante del battaglione Nachtigall, composto dai tagliagole dei criminali nazisti che hanno compiuto crimini atroci. A Kiev ogni anno si festeggia alla presenza di rappresentanti di Stato la fondazione della divisione, ci sono foto e video amatoriali come prova. In Ucraina ci sono cittadini che credono che il nazismo sia un valore antisovietico per permette loro di raggiungere le vette della democrazia occidentale: si tratta di propaganda inculcata a partire dal crollo del comunismo, quando il Paese doveva creare la propria ideologia e la propria propulsione storica. Non avendo il tempo di crearne una hanno attinto dal passato e quella che contrastava il comunismo era il nazismo.

Quindi il problema non è tanto la presenza più o meno forte di gruppi espressamente neonazisti ma il fatto che l’ideale neonazista è culturalmente egemone in Ucraina?

Certo. Le persone sostengono il nazismo. Nel centro di Kiev vi sono monumenti a Shukhevych, le strade portano il nome di militari nazisti e su questo nessuno se non sparute minoranze ha nulla da ridire.

Come risponde ad alcuni detrattori che hanno definito il suo libro come  un testo che sembra scritto “dall’ufficio stampa del Cremlino”?

Io ragiono in maniera obiettiva, senza entrare nelle trincee ideologiche. Io non sostengo affatto Putin, ma questo non significa che io debba andare a braccetto con i nazisti ucraini e con Zelensky, cose che invece la gran parte degli analisti che hanno accesso ai canali di comunicazione ufficiali in Italia fa. Io ho le mie opinioni, che si basano su studi seri che ho fatto della storia. Ciò che dico sono in grado di argomentarlo, non sono posizioni per partito preso. Quindi accetto le critiche in quanto tali, ma non le diffamazioni, concetti che nella cultura occidentale spesso si confondono. Io vorrei animare un dibattito costruttivo basato sulle argomentazioni, invece mi trovo davanti persone abbagliate dalla propaganda di regime, che rispondono con opinioni e diffamazioni. Quando ho scritto il libro su Putin alcuni critici sostenevano che fossi un venduto alla NATO, ora chi sostiene i nazisti in Ucraina mi critica perché credono si tratti di un Paese democratico, quando io dimostro in maniera scientifica che non è così. E si arrabbiano, perché scoprono di essere in torto.

Ultima cosa: come immagina la fine del conflitto in Ucraina?

La storia ci ha insegnato che tutte le guerre hanno una fine e io sono sicuro che anche questa finirà con un accordo. L’unico problema è capire quante persone dovranno ancora morire, quanta sofferenza e distruzione dovrà ancora subire il popolo. Da aprile e maggio in Ucraina combatte la NATO: l’Ucraina è stata sconfitta dalla Russia nei primi tre mesi della guerra, ora è la NATO a combattere usando carne da cannone ucraina. Questa guerra è combattuta tra la Russia, gli USA e 23 Paesi dell’Unione europea, quindi sono questi soggetti che dovranno sedersi al tavolo per trovare un accordo. L’opinione dell’Ucraina, in tutto questo, sarà irrilevante.

[di Andrea Legni]

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2 Commenti

  1. “Io non sostengo affatto Putin, ma questo non significa che io debba andare a braccetto con i nazisti ucraini e con Zelensky”

    Un concetto talmente elementare che però la maggior parte degli idioti che popolano questo paese e che mettono bandiere Ucraine in ogni dove, non riesce a comprendere.

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