Oltre all’ormai famosissimo movimento No Tav sorto attorno alla costruzione della linea ferroviaria Torino-Lione, ce n’è un altro che merita attenzione e che si batte per impedire che un’altra opera, molto simile, venga realizzata. Il movimento – costituito principalmente da cittadini, ma non solo – si muove in strada, si fa sentire nei palazzi della politica e in quelli della giustizia per impedire la nascita della circonvallazione ferroviaria di Trento. Un progetto da oltre 1 miliardo e 200 milioni di euro, finanziato tra l’altro con 930 milioni di fondi del Pnrr, che prevede la costruzione di 14 chilometri di ferrovia, di cui 11 in galleria, sotto la città e la collina al fine di trasportare le merci ed è parte di un progetto più grande, quello della quadruplicazione della rete ferroviaria tra Veneto e Trentino.
L’opera, della cui progettazione è responsabile Rete ferroviaria italiana (RFI), prevede la realizzazione di una circonvallazione ferroviaria dedicata al trasporto merci, che bypasserà il centro urbano passando sotto la collina est. L’intervento, denominato lotto 3a, è parte di un progetto più grande – pensato appunto per fasi funzionali o “lotti” – che ha l’obiettivo unico di quadruplicare la linea ferroviaria tra Fortezza (in Trentino) e Verona (in Veneto), potenziando quindi gli spostamenti attraverso il corridoio Scandinavo-mediterraneo e per cui la costruzione del tunnel di base del Brennero costituirebbe un ulteriore ponte verso il resto d’Europa.
Secondo RFI la circonvallazione, agevolando lo sviluppo del traffico ferroviario, oltre a favorire una modalità di trasporto meno inquinante (il treno) sposterà la maggior parte della circolazione della merce dalle gomme – che transitano sulla A22 – alle rotaie, rendendo più fluido lo spostamento delle vetture cittadine sulle autostrade.
Concorde l’amministrazione locale, che reputa l’opera, al pari di RFI, un tassello fondamentale per il completamento di uno degli assi ferroviari strategici della rete italiana ed europea e “un’opportunità per abilitare un nuovo scenario di rigenerazione urbana, all’incremento di capacità del corridoio e alla canalizzazione dei flussi, che porterà il massimo beneficio al territorio”.
Denaro pubblico e ambiente: due grosse criticità
Tuttavia in merito al progetto, fin dalla sua nascita, sono sorti numerosi dubbi, su differenti questioni. Prima fra tutte, il tempo. Il fatto che una parte dei fondi destinati alla costruzione provenga dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), pone al progetto dei vincoli temporali. Il finanziamento è infatti condizionato all’obbligo di terminare l’opera entro il luglio del 2026. Pena: la restituzione dei soldi all’Europa. È difficile pensare che in tre anni si riesca a scavare una galleria ferroviaria di così grosse dimensioni. Sulle grandi opere siamo abituati a collezionare ritardi su ritardi – per rimanere in zona, basti pensare che per il Tunnel di Base del Brennero i lavori si sarebbero dovuti concludere prima del 2020, mentre la consegna è stata attualmente rinviata al 2032. La prospettiva dell’indebitamento pubblico non è così assurda o lontana, così come è altamente probabile che il budget destinato al finanziamento dell’opera sia fortemente sottostimato. D’altronde si è già verificato per altri progetti di alta velocità/alta capacità ferroviaria in giro per l’Italia.
Le criticità più gravi però rimangono quelle di natura ambientale. Per come è stata progettata, come detto fino ad ora, la circonvallazione dovrebbe passare sotto la città di Trento e il monte Marzola, attraversando una zona fortemente inquinata da veleni industriali.
Il movimento No Tav sostiene a proposito che non si sarebbero prese in considerazione tutte le problematiche fatte emergere dagli organi preposti, tra cui Appa (Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente), in materia di sicurezza ambientale e fragilità geologiche.
Tutte le direttive (oltre 200) elaborate da gruppi competenti, sarebbero state ignorate o sarebbero finite in un cassetto, con la promessa di tirarle fuori in una seconda fase, quella esecutiva. Tra l’altro pare che il progetto (lo si evince dalla sua stessa documentazione), presentato ufficialmente il 12 ottobre e reso disponibile al pubblico il 28 ottobre del 2021, in verità, fosse già pronto ad aprile. «Abbiamo quindi un ritardo voluto di almeno sei mesi da parte di Rete Ferroviaria Italiana nell’aver portato a conoscenza della popolazione trentina un progetto che grava pesantemente sul futuro del territorio. Per ritardare la consapevolezza della collettività e ostacolare le attese opposizioni, i proponenti hanno insomma tenuto secretato il tutto fino al momento in cui sarebbe stato giuridicamente necessario pubblicare il progetto per iniziarne l’iter di approvazione (iter acceleratissimo, a causa del suo inserimento nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza)», sostiene il movimento. In questo modo si sarebbero bypassate una serie di gravi problematiche.
Gli scavi potrebbero liberare nell’ambiente decine di veleni industriali
Ciò che desta maggiore preoccupazione sono le aree inquinate del Sito di interesse nazionale (Sin) di Trento Nord, cioè l’ex zona industriale Carbochimica e Sloi – società che produceva miscele antidetonanti per benzine, costituite da piombo tetraetile, dibromoetano e dicloroetano e che dal 1947 iniziò anche la lavorazione di ipoclorito di sodio. In queste zone si calcola che 180 tonnellate di piombo tetraetile siano finite per essere assorbite dal terreno, arrivando ad una profondità di 15 metri. Solo un sottile strato di argilla di 20 centimetri terrebbe momentaneamente al sicuro la falda acquifera dell’Adige sottostante.
Il rischio di contaminazione rimane comunque altissimo. Ad oggi, tra l’altro, non esiste ancora un sito di deposito per i 48mila metri cubi (un numero sottostimato) di materiale di scavo inquinato generato dalla trivellazione. Questo non può finire in una normale discarica e anzi, per la quantità e natura degli inquinanti che contiene, non vi è luogo in Italia che possa ospitarlo. «Inconsistenti poi anche le misure per tutelare sia gli operai che i residenti da materiali volatili e altamente tossici, a cominciare dal piombo tetraetile che evoca una pagina nera nella storia di Trento», commentano gli oppositori della TAV.
Data la peculiarità della zona, le analisi sulle criticità ambientali non possono essere fatte (quando sono fatte) con superficialità. Ogni tassello va ponderato e calcolato con anticipo, in modo tale da essere in grado di cambiarlo e migliorarlo, o annullarlo. Il fatto che ad oggi non esista ancora neppure uno studio adeguato e approfondito riguardante gli effetti delle vibrazioni (dovute agli scavi e al passaggio di treni lunghi e pesanti) sulle zone e case circostanti (e sulla montagna stessa!) non può essere, in quest’ottica, tollerato. «Con la galleria vogliono passare sotto la Marzola, la montagna “marcia” che ha una paleofrana: non sappiamo cosa potrà accadere…vogliono passare in via Pietrastretta, abbattendo 11 case e mettendone a “rischio vibrazioni” non so quante altre… I nomi non sono casuali. Quella strada si chiama “pietra-stretta” perché il terreno è composto di piccole pietre che scivolano le une sulle altre. Le frane là le abbiamo viste», ha detto a riguardo Vanni Ceola, ex assessore trentino ai trasporti.
Gli abitanti del posto hanno più volte ribadito che la realizzazione di quest’opera cambierebbe radicalmente in negativo la loro vita e l’ambiente intorno. In realtà la liberazione di sostanze tossiche, l’inquinamento delle acque e l’immissione di nuova CO2 per la costruzione della rete finirebbe per riguardare tutti, soprattutto in un periodo come il nostro in cui la maggior parte delle scelte dovrebbe strizzare l’occhio alla transizione energetica.
Un global project non così global
Secondo i progettisti dell’opera la circonvallazione è una costruzione ecologica, dimostrabile da uno studio del bilancio energetico condotto dalla società BBT SE. Tale documento però potrebbe risultare “viziato”, almeno per due motivi: è stato redatto dalla stessa società che si occupa della costruzione del Tunnel di Base del Brennero; prende in considerazione solo una parte di tracciato, circa un terzo del totale.
Poco importa visto che, in generale chi sostiene l’opera ne giustifica la costruzione in un’ottica di global project, termine con cui s’intende specificare che la circonvallazione non va considerata a sé stante, ma va collocata nel più ampio progetto del “quadruplicamento della linea 2 ferroviaria Verona-Brennero”. In sostanza, per valutare il senso anche ecologico della circonvallazione di Trento, bisogna considerare in prospettiva la totalità dell’opera di cui questa fa parte.
“È un argomento teoricamente ragionevole, ma che in concreto fa acqua da tutte le parti. Innanzitutto non vi è traccia nella documentazione progettuale, ma neppure nella propaganda ascoltata in questi mesi, di alcuna seria prospettiva di breve-medio termine di proseguire l’opera. La circonvallazione di Trento sarebbe al momento l’unico tratto progettato e in realizzazione (14 km su 190 circa complessivi)” si legge in un documento redatto dal gruppo no tav. Le circonvallazioni delle altre città attraversate dal tracciato, infatti, sono bloccate da problemi tecnici piuttosto complicati. A Rovereto, ad esempio, il progetto di tracciato sotto il Monte Zugna è stato fermato per l’altissimo rischio di danno alle risorse idriche (problematiche sollevate anche per il Monte Marzola, a Trento). Alla fine il rischio è che la circonvallazione di Trento finisca per essere una cattedrale nel deserto e che non porti neppure i vantaggi tanto declamati. Nelle carte progettuali, infatti, viene chiaramente affermato che quando, nel 2032, il Tunnel di Base del Brennero sarà realizzato e funzionante, il traffico atteso di treni merci sarà persino inferiore a quello attuale. Crollerebbe per questo la retorica dietro la costruzione dell’opera, basata sulla necessità di trasferire dall’autostrada del Brennero alla ferrovia il traffico commerciale su ruote.
Quindi il rischio è quello di ritrovarsi con una infrastruttura in più, che sostanzialmente potevamo risparmiarci e risparmiare all’ambiente. Per fare un esempio, è stato calcolato che la produzione di CO2 necessaria a costruire il Tunnel di Base del Brennero e il lotto 1 Fortezza – Ponte Gardena in Alto Adige è pari a 3 milioni e 167 mila tonnellate, e che il tempo necessario ad ammortizzare questo dispendio è di 20 anni. «Considerando che è molto dubbio che l’intero tracciato venga realizzato, ma che sicuramente ciò non avverrà entro il 2030, la conseguenza è che verrà senz’altro sforato il termine del 2050 entro il quale l’Unione Europea ha posto l’obiettivo delle emissioni zero. La conclusione è che la crisi climatica ha tutto il tempo di scatenare le sue micidiali conseguenze mentre noi saremo ancora a ragionare di completare un’opera che invece di alleviarne gli effetti continuerà a peggiorarli», ribadisce il Movimento.
Ma alla fine l’opera si farà o no?
Le Camere di Commercio di Trento e di Bolzano sostengono che l’Autostrada del Brennero (A22) sia oggi sovra utilizzata dal traffico merci per via dei costi della tratta notevolmente più bassi rispetto agli altri valichi alpini. Molti automobilisti, quindi, preferiscono allungare le tratte anche di cento chilometri, visto il risparmio. Uno studio del Land Tirolo ha calcolato che il traffico diminuirebbe del 31% se si adeguassero i costi a quelli degli altri valichi. Anziché costruire quindi nuove infrastrutture e immettere in natura altri materiali inquinanti, secondo chi si oppone alla circonvallazione basterebbe sfruttare meglio le potenzialità delle linee esistenti, modificando una politica dei pedaggi autostradali che è la causa reale di almeno un terzo di traffico deviato sull’A22.
Per tutte queste ragioni lo scorso gennaio gli avvocati Vanni Ceola e Marco Cianci, sostenuti in particolare da 23 cittadini trentini che abitano la zona del tracciato e che tra le altre cose vedrebbero l’abbattimento delle proprie case, hanno presentato un esposto alla Procura della Repubblica, motivato dal rischio di disastro ambientale nei terreni ex Sloi e Carbochimica.
La denuncia sarà valutata dal Tar del Lazio: i magistrati trentini hanno comunicato che non è di loro competenza giudicare opere considerate strategiche a livello nazionale e finanziate dal Pnrr.
«Aspettiamo di vedere cosa accade. Sicuramente i giudici romani guarderanno con occhi più distanti le problematiche legate agli equilibri ambientali delle aree inquinate di Trento Nord e della Marzola e delle sue frane». Sull’onda dell’incertezza, una cosa sembra chiara a chi, come Ceola, si oppone alla Tav al fianco dei cittadini: «Si inchioderà tutto. Sarà una città cantiere. Gli intoppi saranno molteplici».
Nel frattempo il Parlamento, con un emendamento alla legge di Bilancio, ha stanziato 2 milioni di euro per finanziare ulteriori analisi sul tasso di inquinamento nei terreni SLOI. Un passo significativo, che se non altro dimostra che il Governo si sta muovendo in controtendenza a RFI, che continua a mostrare invece un atteggiamento di minimizzazione del pericolo ambientale.
Un motivo in più per fermare cautelarmente le procedure progettuali, in attesa di chiarire qual è lo stato dei luoghi. Chi ha presentato il ricorso al TAR – così come gli altri abitanti – chiede infatti un blocco immediato del progetto e quindi delle espropriazioni: d’altronde, a loro parere, si tratterebbe di un’opera pericolosa per la città e difficilmente realizzabile.
[di Gloria Ferrari]
Anche a me è venuto subito in mente il Vajont!
Un miliardo e 200 milioni per 14 km di ferrovia significa circa 100 Milioni al kilometro.
E queste sono le previsioni sulla carta, si sa come funziona da noi.
E’ una cifra folle.
Dobbiamo decider quale tipo di economia vogliamo.
Queste opere sono funzionali ad una economia basata sulla concentrazione delle produzioni in aree particolari (Cina, India, Pakistan, este-europeo) dove è più facile lo sfruttamento della manodopera e dell’ambiente.
I risultati li stiamo vededo ora e sono una fragilità pazzesca della nostra economia.
Purtroppo abbiamo seguito regole sovranazionali imposte da una visione globalista che si sta rivelando pericolosa e fallimentare.
Per fare un’altro esempio dal brennero passano decine di tir ogni giorno che importano latte e carne dalla polonia, mentre da noi i pascoli montani e appenninici, una volta popolati di campanacci, sono ora deserti.
Certo produrre un litro di latte in Polonia forse costa meno che produrlo in appennino ma poi paghiamo carissimo l’incuria del territorio e nessuno trova più lavoro in montagna.
E dove sono conteggiati i costi per l’inquinamento prodotto da un tir che viaggia da Varsavia a Bologna?
La cosa assurda è che opere come la TAV servono proprio a consolidare questo modello economico totalmente etrorodiretto e fallimentare.
P.S.
Una nota per quanto riguarda la terminologia.
La parola “quadruplicamento” è del tutto impropria ma viene usata comunemente da RFI (e non solo) a scopo di marketing. Deriva dal fatto che alla fine ci saranno 4 binari: i due esistenti e i due nuovi.
In realtà si tratta semplicemente di un raddoppio.
Speriamo che non sia un nuovo Vajont…