Maggio del 2020, l’allora Ministro Dario Franceschini annunciava l’avvento trionfale di un nuovo e inedito servizio di streaming integralmente dedicato alla cultura italiana, ItsArt. Nel lanciarlo, il politico, folgorato da hybris, ha comparato il suo strumento a una delle aziende di maggior successo del settore, Netflix, dando vita a un paragone che col senno del poi si è dimostrato alquanto inclemente: il 29 dicembre, a meno di due anni dal lancio, la piattaforma partecipata dallo Stato è finita in liquidazione.
Con un capitale del 51% di Cassa depositi e prestiti e 49% di Chili, ItsArt è stata sostenuta da un investimento iniziale di 10 milioni di euro statali attraverso il Mibact a cui si sono sommati 9 milioni da parte dell’azienda privata, una somma considerevole, ma che evidentemente non è riuscita a garantire il successo dell’impresa. Durante il primo anno di attività, la piattaforma ha ricavato appena 245.000 euro. Su carta. La cifra reale è ancor più contenuta, visto che 105.000 euro sono stati conteggiati come “ricavi verso controparti business in modalità di barter transaction”, ovvero sono stati impiegati per barattare servizi ottenuti da aziende esterne. Ad appesantire la situazione giungono dunque i costi: per coprire i costi del 2021 sono stati messi in campo più di 7,4 milioni di euro. Assistendo a un simile salasso, il neo ministro della cultura Gennaro Sangiuliano ha deciso di staccare immediatamente la spina al progetto.
Numeri sotto mano, vien naturale gridare allo spreco, se non addirittura allo scandalo, tuttavia invitiamo a ricordare che l’intuizione di Franceschini non si collocasse tanto sul piano finanziario, quanto su quello del servizio pubblico. L’idea non era quella di speculare, ma quella di “offrire contenuti culturali” con modalità capaci di valorizzare la digitalizzazione rampante del Paese. Sfortunatamente, ItsArt non ha brillato neppure su questo frangente. Complice una gestione manageriale indecisa e inaffidabile, pochissimi italiani si sono resi conto dell’esistenza del servizio di streaming, con il risultato che la piattaforma ha contato, suggerisce Il Foglio, tra i 140.000 e i 200.000 utenti registrati. Giusto per fare un paragone, secondo le stime AGCOM, Netflix fa affidamento su 9,2 milioni di utenti sul solo suolo italiano.
Il sito di ItsArt dichiarava di voler raggiungere tutti i principali mercati internazionali entro il 2022, invece il portale è collassato sotto il peso di mille tormenti. Dall’ipotesi che il progetto sia nato con il solo scopo di favorire Chili, al rimpallo di responsabilità sulla mancata gestione di un’adeguata campagna promozionale, passando per un archivio di materiale video striminzito e flagellato da prezzi nettamente superiori a quelli offerti dal Mercato: le criticità mai risolte del progetto non potevano che tradursi in un tracollo annunciato, tuttavia la dipartita di ItsArt rappresenta un duplice fallimento, in quanto la sua disfatta viene condivisa da due Governi e da due divergenti classi politiche.
Se è vero che i piani di Franceschini erano estremamente ottimisti e claudicanti, è anche vero che la nuova Amministrazione si è trovata per le mani uno strumento potenzialmente interessante che ha preferito abbattere piuttosto che aggiustare. I servizi di streaming concorrenti hanno d’altronde impiegato anni a raggiungere una situazione finanziaria positiva – alcuni continuano ancora oggi a perdere miliardi di dollari a trimestre –, il settore intero si muove dunque su canoni di investimento che guardano sul lungo periodo, una prospettiva che non è evidentemente stata presa in considerazione da Roma, entità che si è dimostrata troppo impegnata a imporre tagli sui servizi e a perseguire scenografiche strategie di bandiera.
[di Walter Ferri]