La Regione Veneto è stata costretta a cedere alle pressioni delle associazioni: oltre a quelli della zona rossa, anche i cittadini della zona arancione, contaminata da sostanze perfluoroalchiliche (PFAS), potranno sottoporsi alle analisi del sangue finalizzate a ricercare dette sostanze.
Per mesi i vertici sanitari avevano negato agli abitanti di 11 Comuni del Vicentino e di uno del Veronese la possibilità di verificare il loro livello di contaminazione. Tuttavia, la delibera del 30 dicembre scorso, fino ad oggi non era stata ancora pubblicizzata.
Gli acidi perfluoroacrilici che hanno contaminato le zone in questione, gli Pfas appunto, sono acidi liquidi molto forti caratterizzati da una struttura chimica che conferisce loro una particolare resistenza ai principali processi naturali di degradazione. Se smaltite non correttamente o illegalmente nell’ambiente, queste sostanze penetrano nelle falde acquifere e, tramite l’acqua, raggiungono i campi agricoli, contaminandoli. Negli esseri umani questi acidi sono notoriamente tossici e comportano l’aumento del rischio di numerose patologie: malattie tiroidee, tumore a rene e testicolo (+30%), cardiopatia ischemica (+21%), morbo di Alzheimer (+14%) e malattie correlate al diabete (+25%).
Si tratta di una vittoria a metà per il comitato delle “Mamme No Pfas” e per tutte le altre associazioni che si sono fatte portavoce della questione. I cittadini delle zone interessate, infatti, avranno solo 90 giorni di tempo per mettersi in coda e ottenere quanto sarebbe spettato loro da anni. E, come se non bastasse, dovranno pagare di tasca propria le analisi sui Pfas.
Comunque, al termine di questi 90 giorni sarà possibile scoprire con esattezza, quanti cittadini dei comuni limitrofi alla zona più inquinata sono stati direttamente interessati dalla contaminazione.
[di Iris Paganessi]