Non si fa in tempo a concludere lo shopping dedicato alle feste natalizie, che già inizia un altro momento d’intrattenimento commerciale: i saldi. Puntualissimi, fanno gola a tanti, allettando i più con occasioni imperdibili e offerte che somigliano a regali. E che invogliano ad acquistare, ancora; a volte il necessario, la maggior parte delle volte il superfluo. Con il risultato di riempire gli spazi, fisici e mentali, di cose e inciampare comunque nella sindrome del “non ho niente da mettermi”. Un paradosso al quale siamo tutti talmente abituati che non viene mai da chiedersi: come abbiamo fatto a cedere a una cultura dominante che ci fa credere che la felicità personale sia nell’acquisto continuo di cose nuove?
Compro, dunque sono; possiedo, quindi valgo. Se un tempo la religione era considerata “l’oppio dei popoli”, adesso possiamo affermare con cognizione di causa che il consumismo è il nostro crack. Una droga autorizzata e caldamente raccomandata da tutti: governi, multinazionali, imprese, pubblicità, mezzi di distrazione di massa e personaggi più o meno influenti che, con il loro stile di vita, caricano sempre l’utente medio di una discreta dose di ansia da prestazione. Si finisce così per correre costantemente, lavorando per acquistare, comprando per apparire, uscendo per sfoggiare il lato migliore, postando perché sia reale e dimostrato.
Si auto-alimenta così la fast society nella quale stiamo vivendo, tra un pranzo fugace in un fast-food e l’acquisto d’impulso in un fast fashion, tra la gratificazione di un pollice in alto sui social e un match che potrebbe portare a una sveltina la sera stessa.
“Un sistema economico che, per continuare a crescere, deve sostituire le merci quando ancora possono essere usate per anni e le trasforma in rifiuti in tempi sempre più brevi. […] Lavorare per produrre sempre più cose e per avere i soldi necessari a comprarle, buttarle via sempre più in fretta per poterne produrre e comprare altre da buttare via ancora più in fretta. Uscire di casa al mattino alla stessa ora ed incolonnarsi per andare a produrle.” (M. Pallante, La decrescita felice)
Mentre le grandi aziende sfoggiano bollini verdi e s’impegnano per cercare la via verso la sostenibilità, noi possiamo decidere di fermarci a pensare a come sarebbe mettere un piede giù dalla ruota. E rallentare.
Slow Life: da dove arriva…
L’idea di una vita lenta non è certo un’invenzione moderna. “Una vita di qualità è meglio di una vita di quantità” lo diceva Seneca nell’Antica Roma dei primi anni dopo Cristo (e si sa, i romani all’epoca, del godersi la vita erano maestri). Secondo lui vivere una vita piena e ricca non consisteva nell’accumulo di oggetti e nemmeno nel far fronte a impegni poco graditi, ma nel selezionare ciò che fa star bene davvero, trovando il tempo per quello che per ognuno ha veramente valore. Poi ci siamo persi per strada, spinti dal progresso, inciampando in una Rivoluzione industriale che ha ridefinito le logiche produttive e quelle di consumo: per incrementare i profitti si dovevano creare nuovi bisogni. Ci sono riusciti benissimo, ed è stato l’inizio dell’ascesa verso il sistema che conosciamo adesso: dalla produzione di massa al prêt-à-porter, dal pronto moda al fast fashion fino all’ultra fast fashion. Fortunatamente per ogni logica dominante, contro-pensieri si sviluppano in parallelo: economisti illuminati e sociologi hanno cominciato a gettare le basi, intorno agli anni 70, del movimento della decrescita (Latouche in primis, Maurizio Pallante dopo). Un cambio di paradigma culturale in alternativa alla crescita illimitata, dove abbattere gli sprechi e limitare il consumo è un modo per rispettare persone, ambiente e riappropriarsi del proprio tempo, in una logica collaborativa e non competitiva. Utopico, ma percorribile. Su questa scia, nella città piemontese di Bra, nel 1986, nasce il Movimento Slow Food “per la tutela e il diritto al piacere”, come reazione al diffondersi dei fast food: una rivendicazione del cibo come rituale prezioso ben radicato nella nostra cultura. Cibo ma non solo: nello slow food erano sottointesi principi di slow life più o meno manifesti. In aperto contrasto con la Globalizzazione, con il Capitalismo e il Consumismo, lo slow living si pone dalla parte opposta ai consumi sfrenati, al denaro come fine ultimo, al multitasking esasperato, al lavoro come unica ragione per essere stimati e apprezzati dentro e fuori della propria cerchia. E pensare che gli Antichi Romani rabbrividivano all’idea di lavoro come lo intendiamo oggi; dopotutto sono stati sempre loro a introdurre il concetto dell’Ozio: per loro la vita lenta, contemplativa, intenzionale e riflessiva era il vero mezzo per raggiungere la felicità.
Quest’attitudine si è persa negli anni, rimanendo appannaggio di gruppi isolati di personaggi spesso etichettati come fricchettoni idealisti. Emarginati della società, isolati perché diversi e non allineati. Nella cultura della velocità parole come rallentare, scalare, decrescere portano con sé quel non so che d’impoverimento, d’involuzione, quasi un tornare indietro. Eppure rallentare non vuol dire tirare il freno a mano, ma scalare elegantemente marcia e riappropriarsi del proprio tempo, riacquistando la consapevolezza delle cose importanti. Qualunque esse siano. Slow Life è tutto meno che un insieme di regole di vita stereotipate e omologate. È uno stile di vita aperto, attivo e libero, dove non ci sono ricette o modelli da seguire. Non è un caso che questi temi siano tornati in auge in un momento particolare come quello che stiamo vivendo: forse, in tutto questo caos esterno e nel delirio di un Mondo dominato dall’incertezza, che sembra pronto all’esplosione da un giorno all’altro, la soluzione più auspicabile è proprio quella di cambiare rotta e ribaltare il sistema di pensiero.
Rallentare in un mondo che spinge ad andare veloce è un potente atto di coraggio e ribellione.
[di Marina Morgatta]
Articolo interessantissimo,che pone una profonda riflessione sull’ idea di felicità che non consiste nell’avere ma nell’essere.
Sono anni che, parafrasando un libro letto un po’ di tempo fa, “elogio la lentezza”. Per il semplice motivo che la lentezza aumenta l’efficienza e l’efficacia del nostro pensare e agire, aumenta la capacità di riflessione e di scelta, aumenta la coscienza di sé, rallenta il battito cardiaco, riduce la pressione arteriosa, migliora la profondità del respiro e ne rallenta la frequenza, favorisce l’ossigenazione e la perfusione di tutti gli organi. Insomma ci rende più attenti, vigili, coraggiosi e se del caso anche pronti a ribellarci… Complimenti per il bel articolo! ( E ora di rispolverare il vecchio proverbio italico del “chi va piano va sano e va lontano”