Quella del centro antiviolenza Lucha y Siesta, in via Lucio Sestio 10 a Roma, è allo stesso tempo una storia di speranza e sconforto. La Presidente della casa rifugio, da anni un immobile destinato ad accogliere centinaia di donne che scappano da situazioni di violenza, è sotto processo per l’occupazione dell’edificio. Se contestualizzate nello storico dell’immobile, la denuncia arrivata da parte di ATAC (Azienda pubblica per la mobilità di Roma Capitale) e l’udienza che si terrà il 26 aprile, hanno dell’assurdo.
Il centro nasce nel 2008 nel quartiere Tuscolano di Roma, quando un gruppo di 300 donne entra nello stabile di via Lucio Sestio, di proprietà di ATAC ma abbandonato da anni, lo ripulisce e gli dà una nuova vita, trasformandolo in un luogo di accoglienza per donne vittime di abusi. Per più di dieci anni la struttura offre a centinaia di loro ospitalità, sostegno psicologico e legale, si prodiga a reinserirle nel mercato del lavoro e organizza attività culturali e laboratori. Nel settembre del 2019 però la Casa delle Donne comincia a subire minacce di sgombero da parte di ATAC, che dice di dover vendere l’immobile per risanare i debiti ed evitare il fallimento dell’azienda.
Lucha y Siesta non è un palazzo da vendere al miglior offerente ma un #benecomunetransfemminista che appartiene già alla comunità cittadina che la anima. Lucha è già di tuttə. I luoghi delle donne e delle libere soggettività non si svendono, si moltiplicano. #luchaallacittà pic.twitter.com/04EHAQChIb
— luchaysiesta (@luchaysiesta) July 15, 2021
In difesa di Lucha y Siesta e contro la vendita della struttura si schierano comitati, persone e associazioni ma ATAC, dopo aver sporto denuncia, decide anzi di rincarare la dose e fare irruzione nel centro con le forze dell’ordine, identificando donne, minori e nuclei familiari. È la Regione Lazio che, per evitare la chiusura del centro e la fine di un’attività fondamentale per la città, nell’agosto del 2021 acquista la struttura, offrendo al centro il comodato d’uso gratuito. Una presa di posizione che non è bastata a porre fine alla trafila giudiziaria, visto che questi luoghi continuano a essere ancora sotto attacco e che la denuncia rimane.
«Riusciremo a dimostrare che la Presidente, come tutte le donne che lavorano a Lucha y Siesta, si sono sempre battute col solo fine di dare assistenza alle donne vittime di violenza e senza un posto dove andare» ha ribadito l’avvocata Federica Brancaccio, legale della Casa delle Donne. Soprattutto perché, a dirla con le parole usate in questi giorni dalle associazioni femministe, l’antiviolenza e i luoghi delle donne non si processano: farlo significa mettere a repentaglio il loro ruolo politico e sociale, faticosamente costruito nel tempo a vantaggio di tutta la comunità.
Al fianco delle sorelle che da anni accolgono donne e minori vittimə di violenza.
Vogliamo una @luchaysiesta in ogni municipio di questa città.#10gennaio pic.twitter.com/9Z0IzKwsd7— NomeCognome (@Nome__Cognome) January 10, 2023
Tra l’altro Roma fa già i conti da anni con numeri piuttosto bassi se si parla concretamente di difesa delle donne vittime di violenza. Per accogliere chi fugge da situazioni difficili il Comune ha a disposizione sul suo territorio un totale di 25 posti letto, che invece in base a quanto stabilito dalla Convenzione di Istanbul – un trattato internazionale sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica – dovrebbero essere almeno 300. Da sola Lucha y Siesta mette a disposizione 14 stanze e collabora con i servizi sociali e la rete antiviolenza per colmare questa mancanza. Dalla sua nascita il centro ha ospitato nella propria struttura 142 donne (e 62 minori), e ne ha aiutate con supporto e sostegno almeno altre 1200, facendo risparmiare all’amministrazione – secondo una stima fatta dall’associazione – circa sei milioni e mezzo di euro.
«Siamo inferocite, furiose, la situazione è vergognosa: il processo è a carico della Presidente dell’organizzazione, ma in realtà è contro tutta l’antiviolenza» hanno dichiarato le manifestanti. D’altronde l’urgenza di fornire alle donne vittime di abusi un luogo sicuro in cui trovare riparo è piuttosto evidente, visto che a pochi giorni dall’inizio del nuovo anno tre di loro sono già state ammazzate (dati aggiornati al 14 gennaio).
[di Gloria Ferrari]