Il Consiglio UE, riunitosi il 23 gennaio, ha deciso di avviare una missione civile in Armenia, con l’obiettivo di monitorarne le zone di frontiera e incoraggiare rapporti pacifici tra il Paese e il vicino Azerbaigian, che da anni si contendono il dominio sulla regione separatista del Nagorno-Karabakh. L’iniziativa, nata nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC), «apre una nuova fase dell’impegno dell’UE nel Caucaso meridionale. Collaboreremo strettamente con entrambe le parti per conseguire l’obiettivo ultimo di una pace sostenibile nella regione», ha commentato Josep Borrell, alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza europea.
We establish today a civilian EU Mission in Armenia #EUMA, to contribute to stability, build confidence & ensure an environment conducive to normalisation efforts between Armenia & Azerbaijan.
It launches a new phase in our South Caucasus engagement, towards sustainable peace. https://t.co/lLJFN04pee pic.twitter.com/dS50l1UQ0P
— Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) January 23, 2023
La missione, che avrà un mandato iniziale di due anni, con comando operativo in Armenia e che inizialmente sarà guidata da Stefano Tomat, direttore esecutivo della capacità civile di pianificazione e condotta del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), è stata richiesta direttamente dall’Armenia con una lettera scritta dal ministro degli Affari esteri e giunta all’alto rappresentante il 27 dicembre 2022. Le operazioni iniziali prevedranno pattugliamenti di routine soprattutto nelle aree di confine, un modo per l’UE, tra l’altro, “di capire com’è la situazione sul terreno”.
In realtà basta sfogliare le pagine di storia moderna per accorgersi che l’instabilità che lega Armenia e Azerbaigian è piuttosto radicata nel territorio, ed è sostanzialmente legata al Nagorno-Karabakh. I due paesi si contendono la sovranità della regione, abitata in maggioranza da armeni, all’interno dell’Azerbaigian, da almeno tre decenni. Le prime tensioni per il Nagorno-Karabakh risalgono agli anni ’90, quando a seguito di una guerra tra Armenia e Azerbaigian, le milizie armene riuscirono ad ottenere non solo il controllo della regione ma anche di alcune aree limitrofe, causando lo sfollamento di migliaia di azeri che in quelle zone vivevano.
Da allora il Nagorno-Karabakh e quei territori occupati sono stati amministrati da un governo locale supportato dall’Armenia. Nel 2020, a seguito di un imponente offensiva l’Azerbaigian riuscì a riottenere il controllo di tutte le zone che aveva perso negli anni ’90, oltre a riconquistare anche piccole parti del Nagorno-Karabakh stesso. La guerra, che durò poco più di un mese, causò la morte di 7.000 persone costringendo migliaia di armeni ad abbandonare le proprie case. Grazie alla mediazione della Russia – un ruolo che dal maggio dello scorso anno è stato assunto dall’UE – il 9 novembre 2020 i due Paesi arrivarono a siglare un armistizio.
Nella realtà, però, le tensioni si riaccendono di continuo. Per citare l’ultimo episodio, il 12 dicembre l’Azerbaigian ha bloccato il corridoio di Lachin, una strada di pochi chilometri (l’unica!) che collega l’Armenia con il Nagorno-Karabakh e che permette il transito di beni essenziali come cibo e farmaci. Per il Parlamento Europeo sul territorio sarebbe in corso una vera e propria crisi umanitaria, con “tragiche conseguenze” causate l’Azerbaigian. Il blocco infatti impedisce agli armeni dell’enclave di usufruire – oltre a medicine e alimenti – di accedere a fonti energetiche: case, ospedali e scuole sono senza luce e riscaldamento per molte ore del giorno.
[di Gloria Ferrari]