È ormai piuttosto chiaro che l’approccio militare e proibitivo adottato dal Governo colombiano per affrontare la questione spinosa delle sostanze stupefacenti non ha mai funzionato. Motivo per cui l’amministrazione del presidente Gustavo Petro ha annunciato, a partire da questo mese, la messa in atto di piani per ridurre l’eradicazione forzata delle piantagioni di coca. Nello specifico, la polizia nazionale dovrebbe ridurre del 60%, per il 2023, le eradicazioni progettate, distruggendo “solo” 20.000 ettari di colture di coca. Un netto calo rispetto all’obiettivo del 2022 – 50.000 ettari, di cui alla fine ne sono stati sradicati 44.000 per via delle proteste dei coltivatori.
È previsto, inoltre, che il Governo nelle prossime settimane annunci direttive simili anche per i militari, incaricati come la polizia di rimuovere i raccolti. Una linea politica, quest’ultima, che il Paese ha perseguito per decenni, e che nel tempo ha mostrato tutti i suoi limiti. I numeri dicono che nonostante le ingenti somme di denaro – 10,4 miliardi di dollari tra il 1999 e il 2017 – ricevuti da Washington per contrastare il narcotraffico (un’ottima strategia per mantenere la presenza militare all’interno del Paese), e le migliaia di forze dell’ordine dispiegate, la Colombia rimane ancora il primo produttore di cocaina al mondo, riservando nel 2021 alla sostanza – secondo le Nazioni Unite – 204.000 ettari di terreno coltivabile.
Petro vuole tentare una tattica diversa: meno divieti e repressione, e più apertura attraverso la stipula di accordi territoriali con contadini e imprenditori nazionali. Questo atteggiamento, secondo il Presidente, metterebbe in grossa difficoltà i cartelli della droga, a vantaggio dei piccoli agricoltori colombiani (e della conservazione della foresta amazzonica). «Daremo ossigeno a certe attività e asfissieremo altre: ossigeno agli anelli più deboli delle catene, ai coltivatori di coca, e asfissia ai trafficanti, ai riciclatori e alle mafie», ha commentato il Ministro della Giustizia Néstor Osuna.
Certo, non sarà semplice e le pressioni, interne e internazionali per via degli interessi economici e di potere che ruotano attorno al mondo della droga saranno molte visto che, come ha sottolineato Gimena Sánchez-Garzoli, direttrice dell’Ufficio di Washington per l’America Latina, «le idee di Petro sulla droga destano preoccupazioni sia nelle classi alte colombiane che fra i ‘combattenti’ della droga americani». Il Dipartimento di Stato USA si è infatti opposto alla riduzione degli obiettivi di eradicazione (in un comunicato si legge che “è fondamentale utilizzare appieno tutti gli strumenti disponibili per ridurre la coltivazione della coca”), principalmente perché se la strategia alternativa di Petro dovesse funzionare, il fallimento dell’operazione a stelle e strisce sarebbe sotto gli occhi di tutti.
Si stava meglio con Ivan Duque, il predecessore di Petro, penseranno a quel punto gli americani. L’ex Presidente, rimasto in carica dal 2018 al 2022, è stato un fervido sostenitore per tutto il suo mandato dell’eradicazione forzata delle piantagioni – tant’è che è riuscito nel 2020 a far abbattere 130.000 ettari di piantagione, un record – ritenendo che prendere di mira i raccolti di coca avrebbe ridotto la violenza e indebolito i gruppi armati. Motivo per cui ha più volte ordinato di procedere con le fumigazioni aeree con il glifosato per distruggere i raccolti: una pratica vietata in Colombia nel 2015 dopo la classificazione dell’erbicida – da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità – come probabile cancerogeno.
Il metodo di Petro, invece, si fonda sul principio che il problema della droga, in Colombia, sia accresciuto dalla disuguaglianza, che separa nettamente i poveri dai ricchi. I piani dei precedenti Governi stabilivano di concedere ai coltivatori che volontariamente interrompevano la propria produzione di coca – nel 2020 sono state circa 100.000 famiglie – sussidi e alternative economiche. Aiuti che in realtà hanno faticato a decollare, mettendo in crisi quella classe di agricoltori – numerosissima – che non poteva più coltivare coca (avendo sradicato le piantagioni) ma non aveva neppure i soldi per mettere in piedi una nuova impresa.
Petro si è impegnato a inviare i sussidi pattuiti, allargando il bacino di famiglie idonee a riceverli – e consentendo loro di continuare a coltivare coca fino a quando non avranno le possibilità economiche necessarie a cambiare attività. Il suo programma prevede inoltre investimenti – ideati anche con l’aiuto dei coltivatori stessi – nel settore agrario e nelle infrastrutture rurali. Le eradicazioni, invece, continueranno solo sui cosiddetti “campi industriali”, quelli cioè non a “conduzione familiare”.
[di Gloria Ferrari]
Ma non capisco, l’idea è sicuramente ottima, però poi le foglie di coca dei piccoli agricoltori dove vanno? Chi le trasforma e la commercializza poi? Questa mossa, senza un mercato legalizzato della sostanza in altri paesi, non rischia di dare l’ennesimo assist alle organizzazioni criminali?
L’ idea di Petro è sicuramente interessante e probabilmente anche più efficacie della politica attuata finora. Il problema ( per lui) è che mi sembra di sentir risuonare le campane…