Poco importa che l’Amministrazione di turno sia al potere in un Paese democratico o meno: il riconoscimento biometrico e quello facciale sono il sogno in Terra dei Governi di ogni angolo del globo, strumenti idilliaci per garantire alti tassi di sorveglianza che possono esercitare un controllo capillare del territorio, il quale a sua volta dovrebbe tradursi in alti tassi di sicurezza. Tra le entità che più recentemente hanno promosso la loro dedizione alla causa tech figura l’Iran, nazione che già da tempo sfrutta le potenzialità dell’intelligenza artificiale per sopprimere la dissidenza e ottimizzare il settore della Difesa.
Istituto di ricerca delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione di Teheran ha definito già nel novembre del 2021 un percorso ambizioso che, almeno stando alle previsioni degli accademici, dovrebbe elevare entro il 2032 la Repubblica Islamica nella lista dei dieci Poteri più avanzati nel settore degli strumenti d’intelligenza artificiale, tuttavia già ora la nazione si dimostra un polo di discreta eccellenza. Per foraggiare questo balzo tecnico, il regime iraniano ha preventivato una spesa iniziale di 8 miliardi di dollari, quindi un investimento annuale del 12% del PIL nazionale, tuttavia stando alla rivista Nature, nel 2021 l’Iran si posizionava già al tredicesimo posto nella lista delle pubblicazioni scientifiche a tema IA, uno spaccato che rivela quanto l’establishment sia effettivamente interessato a ottimizzare gli apparecchi a sua disposizione.
Non c’è bisogno di vagare con l’immaginazione per scoprire come l’intelligenza artificiale possa tornare utile a un Governo tanto notoriamente autoritario: a gennaio il Comandante del Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica, Hossein Salami, ha reiterato in una conferenza stampa che le truppe di Teheran sono già in possesso di droni dotati di IA, la quale è sfruttata con attenzione per perfezionare la precisione di puntamento del sistema di controllo. Stando alla retorica adottata dal militare, i programmi di navigazione sarebbero a questo punto in grado di offrire agli armamenti una precisione assoluta, una qualità che andrebbe ancor più a valorizzare degli strumenti di morte che sul Mercato delle armi sono già ambiti per il loro costo contenuto.
Dove non arriva ancora con i mezzi propri, l’Iran si dimostra pronta ad appoggiarsi ai talenti esteri. Ciò è particolarmente vero per i sistemi di sorveglianza di massa alimentati da tecnologie di riconoscimento facciale, i quali rientrano per vie traverse al punto 14 del trattato di cooperazione Joint Statement on Comprehensive Strategic Partnership siglato nel 2016 tra Teheran e Beijing. Nel passaggio in questione, si tiene aperta la porta a “collaborazioni pragmatiche” atte a combattere “terrorismo, estremismo e separatismo”, derive che vengono etichettate esplicitamente come “grandi mali” a prescindere che vedano a delineare attentati sanguinosi o la pacifica dissidenza civile.
Grazie al sostegno delle industrie estere, le Guardie della Rivoluzione Islamica sarebbero già in grado di mappare decine di città grazie a una rete di sorveglianza la cui portata potrebbe secondo alcune stime già contare le 15.000 unità, occhi privi di palpebre che inviano un flusso costante di dati ai server iraniani, ma anche a quelli cinesi. Huawei è stata più volte accusata dagli Stati Uniti della violazione delle sanzioni imposte a Teheran al fine di mercanteggiare apparecchi tecnologici, ma la parte del leone sembra averla Tiandy, una compagnia di Tianjin che si ipotizza possa avere avuto un ruolo determinante nel monitoraggio, nell’identificazione, nella cattura e nell’incriminazione di molti dei partecipanti alle manifestazioni avvenute negli ultimi mesi.
[di Walter Ferri]