venerdì 22 Novembre 2024

Un rapporto demolisce il mito delle centrali a gas sicure per la salute e l’ambiente

A differenza di quanto una certa narrazione politica voglia far credere, anche le centrali a gas hanno un impatto sulla salute pubblica, e questo è tutt’altro che trascurabile. In particolare, a livello europeo, i costi sanitari legati alla produzione di energia da gas fossile sono stati, per il solo 2019, pari ad 8,7 miliardi di euro. L’Italia, per quanto riguarda gli effetti sulla salute delle centrali a gas, con costi sanitari che arrivano fino a 2,17 miliardi di euro, è prima in Europa. Seguono Germania (1,74 miliardi), Regno Unito (1,14), Francia (850mila euro), Paesi Bassi (430mila) e Spagna (410mila). Ad affermarlo, il rapporto “Una falsa soluzione: gli effetti nascosti sulla salute della dipendenza dai gas fossili in Europa” redatto da Fondazione Heal, Isde, l’Associazione medici per l’ambiente e ReCommon. Il documento, che analizza le conseguenze dirette sulla salute dell’inquinamento dell’aria per la combustione dei gas, ha evidenziato inoltre quanto i decessi prematuri da inquinamento correlato alla combustione di gas ammontino, in un solo anno, a oltre 2.800 nei 27 Paesi dell’Unione Europea.

Più nel dettaglio – secondo il rapporto – sono state 2.864 le vittime da inquinamento atmosferico da particolato ultra-fine (PM 2,5), biossido di azoto (NO2) e ozono, cui si sommano più di 15 mila casi di problemi respiratori, oltre 4.100 ricoveri ospedalieri e più di 5 milioni di giorni lavorativi persi per malattia. Ciononostante, nel 2021, il gas fossile ha rappresentato il 18% del mix energetico dell’UE, per un totale di ben 834 impianti.  Germania, Italia, Francia, Spagna e Paesi Bassi, sono i cinque paesi con il maggior numero di centrali a gas, i quali, insieme al Regno Unito, risultano responsabili del 75% di tutte le emissioni di polveri sottili derivanti dalla combustione di gas fossile in Europa. Questo vale anche per gli altri inquinanti atmosferici, con l’Italia, nello specifico, prima in Europa per tonnellate di anidride solforosa emesse da impianti a gas. Nel Vecchio Continente, il Belpaese è poi secondo per quantità rilasciate di ossidi di azoto, ammoniaca e composti organici volatili non metanici. Nel nostro Paese, il “responsabile” ha poi un nome: Enipower – del gruppo ENI, controllata per il 30% dallo Stato – il principale inquinatore che brucia gas fossile. Le centrali del Cane a Sei Zampe emettono, infatti, il 20% delle emissioni di ossidi di azoto di tutto il parco elettrico a gas italiano.

«Gli effetti sulla salute e i costi derivanti dalla combustione di gas fossili sono stati enormemente sottostimati nei dibattiti pubblici e politici, ma non possono più essere ignorati», ha commentato Vlatka Matkovic, responsabile della Fondazione Heal, sottolineando poi quanto le centrali elettriche si trovino spesso in aree densamente popolate, nelle quali una moltitudine di persone viene già minacciata dagli effetti dell’inquinamento dell’aria. Eppure, al fine di contrastare la crisi energetica in atto, la Commissione europea non si è fatta scrupoli a dare il via, con il pacchetto REPowerEU, a nuove e numerose infrastrutture per l’espansione del mercato del gas. Con lo Stivale, determinato a divenire l’HUB gasiero d’Europa, in prima linea in questa fase di crescita. In tutto ciò, va poi detto che la saluta pubblica non è l’unica ad essere stata ignorata: tale aumento senza precedenti nella produzione di gas allontana infatti l’Europa anche da tutti gli obiettivi climatici. Ma la politica continua a comportarsi come se tale fonte fosse sicura e pulita. Anzi, a dirla tutta il gas non andrebbe considerato nemmeno ‘fonte energetica di transizione’, dato che non rispetta nessuno dei requisiti previsti dalla stessa tassonomia verde in cui l’UE ha deciso di includerlo: non avere alternative fattibili dal punto di vista tecnologico o economico, non rallentare lo sviluppo di altre fonti pulite e non vincolare il sistema energetico a certi livelli di emissioni.

[di Simone Valeri]

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