Una volta la Moda aveva il buon gusto di cambiare con tempi lenti e cadenzati: fino all’Ottocento le tendenze duravano anni, con piccole varianti che per essere socialmente accettate ed entrare in voga impiegavano moltissimo tempo. Dagli inizi del ‘900 tutto è diventato più rapido, complici i primi designer e le prime case di mode, ma almeno si riusciva a seguire il corso delle stagioni. Poi sono arrivate le tendenze e una narrazione molto fashion basata sui must have che ha cominciato a mietere le prime vittime: è stato l’inizio della fine. Nulla è terminato, purtroppo, ma tutto si è velocizzato, e se fino a qualche tempo fa si potevano individuare trend stagionali in parte definiti dalle sfilate (o da giornalisti molto bravi a metterli insieme e assegnargli nomi accattivanti per essere facilmente assimilabili da un pubblico non così attento), adesso la sfida è di captare e adottare per primi le micro-tendenze che si diffondono a macchia d’olio in rete così come nel mondo reale.
Micro tendenze che si sviluppano “dal basso”, ovvero a partire dalle persone e diffuse tramite social media (Tik Tok e Instagram, prevalentemente), alle quali viene di volta in volta appioppato un nome seguito dal suffisso core (trendcore).
Barbiecore, cybercore, bikercore e simili, sono solo alcune delle estetiche che hanno preso il sopravvento sui social negli ultimi anni: una serie di linee guida visive che offrono spunti per emulare degli abbinamenti, che a loro volta si rifanno a immaginari già noti (non è difficile capire che il cuore del barbiecore si rifà al rosa e al mondo della bambola bionda più famosa al mondo). Combinazioni, spesso nate in maniera spontanea come messa in mostra di uno stile personale, che magicamente, tramite il potere degli algoritmi e la forza numerica dei seguaci, vengono adottate da gruppi più o meno ampi di persone, che sviluppano il loro senso di appartenenza tramite gli abiti. Niente di male ad adottare uno stile che piace; e niente di nuovo, se non fosse che, a differenza delle sotto culture sviluppatesi nel secolo scorso (punk, flower power, clubbers, per citarne alcune), dove l’estetica era espressione di un movimento del quale incarnava i valori, queste micro-tendenze sono vezzi effimeri che spesso durano quanto un battito di ciglia. Alcune sono cresciute fino a diventare delle vere e proprie sottoculture, come il normcore (la moda di vestirsi normali, qualunque cosa voglia dire) e il cottagecore (abbigliamento rurale reinterpretato, per amanti della vita bucolica 2.0); altre sono intercettate dalla rete, estrapolate dal contesto e proposte da giornalisti e commentatori su siti di moda come “ultima tendenza”.
È lì che scatta il meccanismo infernale: prima ancora che ce ne rendiamo conto, le aziende di fast-fashion hanno già messo in produzione tutto ciò di cui c’è bisogno per interpretare alla perfezione questo trend diventato virale; poco importa se dopo un paio di settimane si passerà al *core successivo e se tutto quel che è stato fatto, spesso in maniera insostenibile, rimarrà sugli scaffali o finirà in discariche più o meno lontane da noi. L’importante è esserci, essere sul pezzo, cavalcare il momento e giocare sull’atavica paura di rimanere indietro. O fuori. Ed è lì il vero problema: quello di entrare in confusione e non capire più se quel che stiamo acquistando ci piace perché ci piace, o solo perché l’algoritmo lo ripropone all’infinito facendocelo piacere.
Così entra in scena anche la famigerata FOMO, Fear Of Missing Out, un’altra leva che agisce in maniera subdola sulla mente umana, già indebolita dalla quantità d’input che riceviamo giornalmente; va a lavorare sulla paura di rimanere fuori dalle cose “giuste”, fighe, da quelle di cui tutti parlano e quelle che tutti possiedono. Il desiderare ciò che gli altri hanno, è una debolezza vecchia quanto i Dieci Comandamenti, per questo la comunicazione e il marketing hanno deciso di metterci su il carico da novanta per incoraggiare ad acquistare ciò che è popolare e molto richiesto tramite tecniche studiate ad hoc. Che si tratti del capo cult di tutta la vita o di una tendenza temporanea, non fa differenza. L’importante è avere sempre qualcosa da vendere e il circolo, così studiato, funziona alla perfezione.
Già, perché quante più persone adottano un trend, tante altre sentono il bisogno di passare a quello successivo, innescando una spirale senza fine orientata alla novità e al cambiamento. Di outfit. Perché per il cambio di mentalità, quello in grado di liberarci dalle dipendenze indotte dal sistema, c’è bisogno di una grossa dose di consapevolezza. La stessa che permette di usare gli abiti come un’estensione della propria persona o di quella che si vuole apparire in un determinato momento, giocando con le sue infinite possibilità.
Il confine tra libertà e dipendenza, in fondo, dipende solo da noi.
[di Marina Savarese]