domenica 24 Novembre 2024

Negli ultimi 15 anni in Italia sono stati condannati per pedofilia 164 sacerdoti

Quello degli abusi sessuali all’interno della Chiesa Cattolica è un tema su cui in Italia non si è finora mai indagato per davvero e sul quale non si è nemmeno mai tenuto un serio dibattito pubblico e politico. Eppure ci sarebbe molto da parlare, eccome. Basta guardare gli ultimi numeri.

Sono 164 i sacerdoti condannati definitivamente per pedofilia negli ultimi 15 anni. Altri 166 sono attualmente denunciati, indagati, in attesa di giudizio o non più condannabili per prescrizione. Invece sono 88 i casi “segnalati da vittime che per improcedibilità spesso legata alla prescrizione non sono noti alle autorità civili”. Per un totale di 418 preti coinvolti – molti dei quali in Lombardia, al primo posto per presunti abusi sessuali su minorenni commessi da sacerdoti – e 29.260 potenziali vittime.

Lo dice il censimento realizzato dall’Osservatorio Permanente della Rete L’Abuso – che ha raccolto segnalazioni di casi di abusi sessuali negli ultimi 13 anni direttamente dalle vittime – e dall’associazione internazionale Eca Global (Ending ClergyAbuse), secondo cui il numero complessivo di casi potrebbe comunque essere sottostimato.

L’obiettivo non è tanto quello di «fornire dei numeri, ma insieme a questi fornire in assenza di dati governativi un quadro di consapevolezza più ampio, spiegando perché il problema endemico dei sacerdoti pedofili, in Italia sia particolarmente allarmante rispetto agli altri paesi, non solo nell’area dell’Unione Europea», commentano le associazioni. Il documento, inviato alle autorità italiane per spronare l’avvio di un’indagine indipendente, fa in realtà l’eco a quanto chiesto già nel 2019 dalle Nazioni Unite: investigare in maniera imparziale sugli abusi sessuali da parte del clero.

Al momento, infatti, l’Associazione Rete L’Abuso, guidata tra l’altro da chi quegli abusi li ha subiti sulla propria pelle, Francesco Zanardi, è l’unica che in assenza di dati ufficiali cerca di tenere traccia del fenomeno, comunque «da considerarsi in difetto rispetto alla reale portata degli abusi».

Nel corso degli anni è stato chiesto più volte anche al Vaticano di muoversi nella direzione giusta. Nel 2014, ad esempio, è stata creata una Commissione speciale che però ha portato a casa scarsissimi risultati perché contrastata da poteri politici ed ecclesiastici forti.

Il problema, a quanto pare, è intrinseco e per questo difficilmente estirpabile.

Un timido tentativo di fare chiarezza sulla questione è arrivato lo scorso novembre dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI), che ha pubblicato i dati raccolti nel corso dei due anni precedenti presso i centri di ascolto delle diocesi. Si è trattato del primo rapporto su abusi sessuali e pedofilia nella Chiesa italiana, pubblicato dalla stessa – e lungo appena 40 pagine scritte dagli esperti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, non di certo imparziali – e che si è rivelato una totale presa in giro (seppur i dati siano comunque sconcertanti).

Il rapporto infatti considera solo alcuni casi denunciati alla Chiesa stessa – invece la vittima può denunciare anche alla magistratura, per esempio -, avvenuti tra il 2020 e il 2021. Questo è un problema per diversi motivi: spesso la vittima realizza di aver subito abusi dopo anni di terapia (e quindi denuncia anni dopo) e la CEI aveva promesso di analizzare gli ultimi vent’anni (non solo gli ultimi due, tra l’altro trascorsi in lockdown).

In generale, poi, le righe dedicate alla questione degli abusi sono veramente poche, seppur spiazzanti. Al loro interno si legge che nell’arco di tempo considerato si sono rivolte ai Centri di ascolto per segnalare un abuso 86 persone. Numeri enormi, se valutiamo il contesto, anche se parziali e incompleti.

Considerando che i sacerdoti presenti in Italia sono fra i 35 e i 38mila, e che secondo padre Hans Zollner, uno dei maggiori esperti mondiali sugli abusi sessuali nella Chiesa, il 3-5% di questi è un abusatore, ci rendiamo conto che i dati della CEI – per quanto preoccupanti – sono un insulto alle vittime. Il problema è che il nostro Paese è profondamento legato a certe tradizioni, tra cui quella religiosa. Per questo è difficile che se ne parli “male” apertamente, ed è più facile, invece, insabbiare tutto e far finta che il problema non esiste. Ma c’è, ed è enorme.

[di Gloria Ferrari]

L'Indipendente non riceve alcun contributo pubblico né ospita alcuna pubblicità, quindi si sostiene esclusivamente grazie agli abbonati e alle donazioni dei lettori. Non abbiamo né vogliamo avere alcun legame con grandi aziende, multinazionali e partiti politici. E sarà sempre così perché questa è l’unica possibilità, secondo noi, per fare giornalismo libero e imparziale. Un’informazione – finalmente – senza padroni.

Ti è piaciuto questo articolo? Pensi sia importante che notizie e informazioni come queste vengano pubblicate e lette da sempre più persone? Sostieni il nostro lavoro con una donazione. Grazie.

Articoli correlati

2 Commenti

  1. Una religione, di qualunque orientamento, dovrebbe insegnare il rispetto per l’Uomo alla pari di quello verso un dio (“… a immagine e somiglianza …”) soprattutto da parte di chi predica. E chi assolve oppure occulta non è migliore di di chi materialmente compie l’abuso.

Iscriviti a The Week
la nostra newsletter settimanale gratuita

Guarda una versione di "The Week" prima di iscriverti e valuta se può interessarti ricevere settimanalmente la nostra newsletter

Ultimi

Articoli nella stessa categoria