Il fondo di investimento americano KKR, Kohlberg Kravis Roberts, ha recapitato una proposta d’acquisto non vincolante presso il cda della Tim per l’acquisizione della società: si tratta della principale compagnia di telecomunicazioni italiana, settimo gruppo economico italiano per fatturato che detiene la maggior parte delle infrastrutture di telecomunicazione del Paese. «TIM comunica di aver ricevuto da KKR un’offerta non vincolante per l’acquisto di una partecipazione in una costituenda società coincidente con il perimetro gestionale e infrastrutturale della rete fissa, inclusivo degli asset e attività di FiberCop, nonché della partecipazione in Sparkle (cd. “Netco”)» si legge sul sito dell’azienda. Essendo un’infrastruttura strategica, la rete Tim è coperta dal Golden Power, lo strumento normativo che conferisce al governo la facoltà di porre condizioni o veti in caso di tentativo d’acquisto di una compagnia strategica italiana da parte di una società straniera. Senza il consenso del governo, dunque non potrà essere venduta, sebbene il cda di Tim si sia riunito proprio ieri sera per dare il via ad una prima valutazione dell’offerta del colosso americano. Secondo alcune indiscrezioni, l’offerta del fondo statunitense ammonterebbe a circa 20 miliardi di euro, anche se la società non ha diffuso ufficialmente la cifra, e la banca d’affari americana JP Morgan svolgerebbe il ruolo d’intermediario nell’affare.
Le valutazioni dell’esecutivo rispetto a un’eventuale privatizzazione dell’infrastruttura non dovrebbero essere positive, in quanto l’attuale partito di maggioranza, FdI, ha sempre sostenuto la necessità di riportare la rete di telecomunicazioni sotto il controllo pubblico. Tuttavia, ora il governo potrebbe ritrovarsi a trattare con poteri extranazionali dal peso soverchiante che potrebbero indurlo ad “ammorbidire” la linea intrapresa durante la campagna elettorale. Già in passato, infatti, il media statunitense Bloomberg, riferimento del mondo finanziario americano, aveva messo in guardia l’attuale esecutivo dai rischi che comporterebbe la nazionalizzazione di società strategiche: «I membri della coalizione di destra hanno promesso di rinazionalizzare completamente la banca Monte dei Paschi di Siena e l’ex monopolio Telecom Italia, fortemente indebitato, responsabile della scarsa copertura della banda larga in Italia, e di bloccare la vendita della compagnia aerea nazionale ITA Airways al gruppo di private equity Certos» si legge in un editoriale dove viene anche aggiunto che «Questo processo metterà sotto pressione il debito italiano».
Attualmente, Tim è controllata dal gruppo francese Vivendi, mentre lo Stato, tramite Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), detiene appena il 9,81% delle azioni: l’esecutivo di Giorgia Meloni ha più volte ribadito che intende riportare Tim sotto controllo pubblico, anche per preservare i 40.000 dipendenti della società italiana dal rischio di licenziamento. Tuttavia, le pressioni della finanza internazionale per acquisire la compagnia sono insistenti: già nel novembre del 2021, infatti, KKR aveva fatto una proposta di acquisto della società per 10,8 miliardi (0,50 euro per azione), ma la proposta era stata giudicata bassa dal cda di Tim – guidato dall’Ad Pietro Labriola – che non aveva permesso a Kkr di fare un’ulteriore valutazione sulla società, costringendola a un passo indietro. L’azienda americana, inoltre, possiede già il 50% delle torri telefoniche di Vantage (e quindi una quota di Inwit) e il 37,5% della rete secondaria di Tim, Fibercop.
Il dossier è ora nelle mani del Ministro delle imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, il quale a inizio gennaio nel corso di un’audizione in commissione Trasporti della Camera, in materia di telecomunicazioni, aveva affermato che l’obiettivo del governo «è quello non di rete unica ma di una rete nazionale che copra al più presto tutti gli ambiti del nostro territorio, a controllo pubblico». Inoltre, secondo Urso, la privatizzazione di Tim sarebbe stata un errore, in quanto la comunicazione è un argomento di interesse nazionale e, invece, quando la compagnia venne privatizzata, si ritenne il contrario. Secondo la linea fin qui sostenuta, dunque, il governo non dovrebbe concedere l’approvazione per l’acquisizione di Tim da parte di KKR, ma le pressioni internazionali potrebbero indurlo a un passo indietro. In tal caso, si proseguirebbe con la politica di “svendita” del Paese cominciata da Mario Draghi negli anni Novanta sul panfilo “Britannia”. Una tale decisione porterebbe l’Italia a privarsi di quei pochi asset pubblici strategici di cui ancora dispone, rinunciando al Golden power, ossia alla sovranità sulle sue infrastrutture strategiche.
Secondo indiscrezioni, Cdp è ancora intenzionata a lanciare un’offerta, nella seconda metà di febbraio, che si aggira anch’essa intorno ai 20 miliardi di dollari: ad oggi, però, l’unica proposta concreta è quella di KKR. Resta da vedere, dunque, se l’attuale esecutivo eserciterà o meno il Golden power restituendo agli italiani un asset indispensabile per il Paese e mantenendo fede a quanto dichiarato in campagna elettorale.
[di Giorgia Audiello]
MPS e ITA sono costati e costano al contribuente italiano un sacco di soldi e restano una palla al piede, da vendere immediatamente. Alitalia in particolare avrebbe dovuto essere venduta almeno vent’anni fa. Tim costa anche un sacco di soldi ma ha sicuramente un’ importanza strategica. Il Governo potrebbe, dopo un campagna dettagliata di informazione spiegando pro e contro, chiedere agli Italiani, tramite referendum, cosa vogliono fare. Il Governo ci farebbe bella figura e gli Italiani sarebbero direttamente responsabilizzati. Questa mi pare potrebbe essere la democrazia 2.0.
…anch io la penso così…per ogni scelta politica chiederei referendum agli italiani…peccato che sia utopia pura…i governi “moderni” non lo faranno mai…piuttosto vendono asset strategici pubblici e quando finirà la legislatura se ne andranno dicendo che non è stata colpa loro…