Circa 14.000 persone, appartenenti a due comunità nigeriane differenti, dopo anni di tentativi sono riuscite a rivolgersi all’Alta corte di Londra – un tribunale che sorveglia l’operato di quelli inferiori – per chiedere giustizia contro il colosso dei combustibili fossili Shell, accusandolo di aver inquinato consapevolmente –ignorando le fuoriuscite sistemiche di petrolio dai suoi oleodotti – le loro fonti d’acqua e avergli per questo reso la sopravvivenza piuttosto complicata.
La lotta ha unito gli agricoltori della zona di Ogale (che conta 40mila abitanti), situata sul delta del Niger e della zona di Bille, abitata perlopiù da pescatori (per un totale di circa 13mila individui), accomunati da un’unica grande richiesta: che Shell ripulisca i territori dall’inquinamento e risarcisca i cittadini per avergli distrutto ogni mezzo di sussistenza. A causa delle continue fuoriuscite di petrolio, infatti, le comunità non possono più né coltivare né pescare. Il torrente che attraversa Ogale, la principale fonte di acqua per la comunità, utilizzata per l’agricoltura e l’acqua potabile, è stato contaminato dal petrolio – gli abitanti dicono che l’acqua che fuoriesce dai rubinetti è visibilmente marrone. L’inquinamento ha ucciso i pesci e rovinato i terreni agricoli. A Bille, le fuoriuscite di petrolio hanno contaminato tutti i fiumi attorno alla zona. Le persone dicono di sentirne l’odore del greggio persino nelle proprie case. I pescatori sono disperati: pesci e i molluschi sono morti, così come le mangrovie dentro alle quali si riparavano.
Evidenze per Shell non abbastanza forti: la multinazionale, che ha dichiarato profitti per oltre 30 miliardi di dollari per primi tre trimestri del 2022, sostiene che i cittadini non siano legalmente autorizzati a costringerla a ripulire, soprattutto per sversamenti avvenuti cinque anni prima. La società, tra l’altro, ha ribadito che la colpa delle fuoriuscite non è sua, ma delle bande criminali che hanno attaccato gli oleodotti. E che nel caso, le accuse andrebbero rivolte alla sua “sussidiaria nigeriana”, la Shell Petroleum Development Company of Nigeria (SPDC).
«In un momento in cui il mondo è concentrato sulla transizione green, ciò solleva profondi interrogativi sulla responsabilità delle aziende di combustibili fossili sull’inquinamento ambientale attuale e futuro», ha detto Daniel Leader, legale delle comunità. Infatti, anche se Shell sta per lasciare il delta del Niger dopo oltre 80 anni di operazioni sulle sue sponde, l’entità delle fuoriuscite è stata così imponente da avere una grossa influenza sulla salute e mortalità della popolazione locale. A tal proposito, un rapporto dell’Università San Gallo, in Svizzera, ha rilevato che i bambini nel delta del Niger hanno il doppio delle probabilità di morire durante il primo mese di vita se le madri hanno vissuto o vivono vicino a una fuoriuscita di petrolio – pare che ci siano circa 11.000 morti premature all’anno in zona.
D’altronde Shell opera in Nigeria da 86 anni, terreno da cui l’azienda ha ricavato la maggior parte dei suoi profitti. Periodo in cui la multinazionale è finita nei guai diverse volte, sempre per gli stessi motivi. Se ne parla praticamente dalle sue prime estrazioni di petrolio sul territorio, quando i problemi legati alla scarsa sicurezza degli oleodotti e ai mancati controlli periodici erano già piuttosto evidenti. Basti pensare che solo nel periodo compreso tra il 2020 e il 2021, la National Oil Spill Detection and Response Agency (NOSDRA) della Nigeria ha registrato sul suo territorio 822 fuoriuscite di petrolio, per un totale di 28.003 barili riversati nell’ambiente. Fra gli episodi più gravi che hanno visto protagonista Shell, se ne ricordano in particolare due: quello del febbraio 2003, quando ci fu un’esplosione nel giacimento petrolifero abbandonato a Yorla, che provocò una grave fuoriuscita di petrolio e quello dell’agosto del 2008, quando un guasto all’oleodotto Trans-Niger riversò sulla comunità di Bodo 4.000 barili di greggio. In realtà di incidenti di questo tipo, negli anni, ce ne sono stati moltissimi, ma l’espansione di Shell in Nigeria non si è mai realmente fermata: ad oggi, come riporta Altreconomia, la multinazionale conta 50 pozzi, più di seimila chilometri di oleodotti e gasdotti e ricavi totali derivati dall’estrazione (nel 2019) pari a circa 4,5 miliardi di dollari.
In merito alla questione più recente, Shell ha detto al Guardian di aver già svolto lavori di pulizia e bonifica delle aree colpite e che sta lavorando con le autorità nigeriane competenti per prevenire sabotaggi e furti di petrolio. Una cantilena che ascoltiamo da più di 80 anni.
[di Gloria Ferrari]
Meno male che son considerati il terzo mondo,loro si ribellano e noi a raccogliere la saponetta