Dagli imbrattamenti delle opere d’arte ai blocchi stradali su importanti arterie del traffico automobilistico: le azioni messe in atto da Ultima Generazione, gruppo di attivisti per il clima nato da una costola di Extintion Rebellion, hanno rapidamente guadagnato visibilità per via del generale sentimento di spiazzamento (e anche antipatia) generato in una buona fetta dell’opinione pubblica. Ma qual è il senso delle loro iniziative e del loro modo di fare attivismo? Ne abbiamo parlato con Maria Letizia, attivista di Ultima Generazione impegnata nell’organizzazione dei gruppi di discussione e nella diretta preparazione di specifiche azioni di disobbedienza non violenta.
Per non dare per scontato cosa sia Ultima Generazione, vorrei chiederle di parlarmi del vostro movimento e del perché avete deciso di staccarvi da Extintion Rebellion.
Si tratta di due realtà fortemente collegate, alcune persone continuano a lavorare su gruppi di lavoro da una parte e dall’altra e in tante occasioni ci si trova a solidarizzare. Ultima Generazione (UG) è un progetto che nasce all’intero di Extintion Rebellion (XR) e si sviluppa autonomamente, ma non parlerei di scissione come quella che si intende solitamente in riferimento ai partiti. È un processo diverso: diciamo che è un progetto al quale hanno aderito molte persone di XR, anche perché è nato da loro, e ora in UG stanno confluendo persone che non sono mai transitate su XR. Quindi sì, UG è un progetto autonomo che fa parte di una rete internazionale, A22 – dalla data in cui è stato annunciato, ovvero lo scorso aprile 2022. Si tratta di una realtà che coinvolge anche Paesi extraeuropei, i cui gruppi hanno tutti le medesime modalità di azione. Lavoriamo con il metodo della disobbedienza civile non violenta e con richieste ai governi nazionali che ruotano tutte intorno alle fonti fossili e allo stravolgimento climatico anche se, poiché ogni governo ha delle sue responsabilità specifiche, le richieste possono differenziarsi.
Partiamo dalle vostre modalità di azione, perché si tratta forse dell’aspetto più controverso della vostra attività: non credete che iniziative quali bloccare il traffico e simili vi portino a infastidire le persone più che avvicinarle alla vostra causa?
Le nostre iniziative portano a polarizzare l’opinione pubblica, perché generano conflitto e disturbo. Chi si trova bloccato nel traffico o assiste all’imbrattamento, non sapendo che è temporaneo, rimane disturbato. Questo disturbo crea polarizzazione, non solo tra chi lo subisce ma anche tra chi lo vede narrato. Il conflitto produce questo. Se dobbiamo guardare i risultati di questi pochi mesi di azioni di questo genere, la risposta non può essere che positiva rispetto all’interesse che si è aperto sul problema e la discussione messa in atto e anche al numero di persone che stanno solidarizzando o entrando nel progetto attivamente, disposte anche loro a disobbedire. È cresciuto anche il numero di persone che collaborano dietro le quinte, nei tanti gruppi di lavoro che sono necessari per mantenere un’attività del genere. Lo vediamo anche nelle prese di posizione nei confronti di questa campagna. Il tutto come da previsione, in realtà, perché così ci dicevano gli studi di sociologia politica riferita agli eventi della storia del passato. Anche i processi in atto o addirittura le carcerazioni sono momenti in cui si cresce, perché le persone capiscono la sproporzione che c’è nel fatto che viene punito chi chiede giustizia e non chi effettivamente sta commettendo quell’ingiustizia, ovvero i governi che ci stanno condannando al genocidio o ad un futuro di fame, di immigrazioni, di povertà, di distruzioni, di morte. Nessuno riesce a negare il problema. E allora in occasione di questa repressione le persone comuni capiscono dov’è la vera ingiustizia.
Tra le modalità che si può scegliere di adottare, perché proprio quella di incollarsi alle opere d’arte o imbrattarle?
Non ce lo siamo inventato noi. Già le suffragette, il cui movimento oggi è del tutto interiorizzato e dato per giusto, hanno squarciato col coltello le tele. Non è qualcosa di lavabile (come la vernice, la farina o la zuppa) o reversibile come incollarsi sul vetro di un’opera. Le motivazioni che di volta in volta cerchiamo per costruire una narrativa, le scegliamo per migliorare l’impatto di quell’azione. Le persone che le compiono subiscono multe, processi e così via: non ci succede certo quello che succede in altre parti del mondo, ma fanno comunque un piccolo sacrificio. Quindi è bene che almeno abbia impatto, no? L’imbrattamento del Dito in Piazza Affari ha avuto valore simbolico, come quella, alla quale ho partecipato, di lanciare la farina sull’auto dipinta da Andy Warhol ed esposta a Milano.
Ultimamente avete sempre più messo in campo obiettivi politici: penso all’imbrattamento al MEF, al Senato, al Dito in Piazza Affari. È in atto un cambiamento nella vostra strategia, volta a prendere obiettivi concreti tra i decisori?
No, non c’è un cambio nelle modalità. Le nostre attività sono iniziate proprio con l’imbrattamento al ministero della Transizione ecologica, grazie al quale siamo riusciti ad ottenere l’incontro pubblico con Cingolani. Sono stati fatti incatenamenti alle sedi dei partiti mentre erano in campagna elettorale per chiedere che inserissero degli impegni nei loro programmi elettorali rispetto alle richieste del movimento. Non ci hanno ascoltati con una catena di scioperi della fame a Milano e quindi si finì per imbrattare la porta della sede del PD, a incatenarsi fuori dalla sede della Lega. Le istituzioni sono i principali interlocutori perché le richieste che si fanno sono richieste al governo italiano.
In quanti aderiscono al progetto e quanto è eterogenea la composizione? Sono per la maggior parte giovani o c’è anche varietà di età e di provenienza in questo senso?
Diciamo che siamo al rovescio rispetto alla composizione demografica italiana. In Italia la maggior parte della popolazione è ultrasessantenne, mentre nel movimento gli ultrasessantenni ci sono ma non sono la maggioranza. Siamo una realtà ampiamente diversificata dal punto di vista demografico, di genere, di professione e di appartenenza geografica (sbilanciata rispetto al nord-est perché è lì che è nata, ma ormai ci sono gruppi locali in tutta Italia, compresi Meridione e Isole). Se uno guarda le scene degli imbrattamenti e dei blocchi stradali si vedono anche persone più in là con gli anni, anche se i giovani sono una percentuale più alta. Poi c’è tutto il dietro le quinte, ovvero i gruppi di lavoro di chi dedica un po’ del suo tempo a fare telefonate per chiedere raccolta fondi, per curare il sito internet eccetera.
Come funziona l’organizzazione? Chi decide qual è il target, come si indirizzeranno le prossime azioni? Avete, a livello regionale o provinciale, dei gruppi di lavoro separati?
No, è tutto centrale. A livello locale dove esistono dei gruppi forti, come in Toscana, che ha messo in atto azioni proprie. Stiamo programmando azioni nelle Marche, alle quali io parteciperò. Però è sempre tutto coordinato a livello nazionale. I gruppi di lavoro hanno un una persona che li coordina e l’insieme di queste forma un gruppo di coordinamento generale che elabora le proposte. Quindi non c’è una strategia regionale, anche perché le richieste poi sono a livello nazionale. La strategia è quella e non cambia per gruppi di lavoro.
Voi pensate che in Italia ci sia sensibilità e margine di discussione riguardo il tema del cambiamento climatico o siete scettici?
Se guardiamo alle politiche di questo governo, che ricalcano quelle del precedente, con sussidi ambientalmente dannosi (più di 20 miliardi all’anno), la vedo molto nera. Su questi sussidi non abbiamo informazioni: ne siamo tutti vittime, noi diamo i nostri soldi perché ci venga fatto del male e non ne abbiamo consapevolezza perché non ci viene detto come vengono distribuiti a livello regionale, nazionale ed europeo. Chi li studia ha difficoltà a tracciarli. Sono tutte stime, neanche il governo lo sa. La Exxon già negli anni ’70 aveva commissionato studi che avevano fornito un modello matematico sulle conseguenze delle attività dell’azienda e che descrivono molto bene quello che sta accadendo ora, e che avremmo potuto risparmiarci. Se Exxon non avesse tenuto nascosti quegli studi, come sarebbe diversa la nostra vita adesso? Quale prospettiva diversa avremmo davanti? Quante morti e migrazioni avremmo risparmiato? Quello che succede qui è nulla rispetto a quanto avviene in Africa, dove le guerre causate dallo stravolgimento climatico sono in atto da decenni. Sono ottimista perché vedo che le persone si stanno attivando, ma abbiamo pochissime chance di riuscire a non andare al genocidio. La sensibilità c’è ma tra questa e l’interiorizzazione del problema ce ne passa. Purtroppo (o per fortuna) la specie umana non si è evoluta per dover fronteggiare problemi globali, l’umanità si è evoluta per agire su una scala locale. Se anche capiamo a livello razionale un problema di tale portata, la nostra specie non ha gli strumenti per poterlo affrontare. La sfida grossa ora non è della climatologia, ma della psicologia, della sociologia, degli educatori, perché devono crescere persone in grado di reagire.
Lei crede quindi che a livello di società civile, al di là delle politiche, ci sia un po’ più di dibattito?
Sì, c’è, e secondo me il fatto di avere fatto azioni disturbanti aiuta, perché bisogna puntare molto sull’emotività per smuovere le persone. Perché sui convegni, sui paper, sui libri ci hanno già lavorato in tanti, tuttavia si assiste al convegno e si va a casa felici. Invece se guardi una scema che sta seduta per terra, un ragazzo prendersi gli sputi dai passanti ha più impatto, ti chiedi cosa sta succedendo.
Chi sono i finanziatori di UG? Sul sito ho letto che la maggior parte dei finanziamenti proviene dal Climate Energy Fund (CEF), che viene a sua volta fondato e finanziato dalla controversa figura di Aileen Getty, ereditiera del petrolio. Nonostante abbia dimostrato sensibilità per il tema della crisi climatica, non avete paura che finanziatori di questo tipo possano portare le persone a credere che dietro di voi vi sia un certo interesse finanziario? Tutti possono finanziare UG o esiste un filtro etico di qualche tipo?
Noi non conosciamo chi finanzia, perché i finanziamenti internazionali sono anonimi. I gruppi a cui arrivano parte di questi soldi, che vengono poi distribuiti tra i vari gruppi nazionali, non sanno chi li ha forniti. Quindi non possiamo essere influenzati e questa è la garanzia principale. Poi quello è solamente una parte del finanziamento. Molto viene dal crowdfunding nazionale. E poi raccolte fondi vengono fatte in occasioni delle presentazioni in presenza. Si tratta di tanti piccoli finanziamenti.
Altre organizzazioni del movimento ecologista e ambientalista italiano (come Fridays For Future) hanno dato vita negli ultimi tempi ad alleanze con movimenti che si battono per i diritti dei lavoratori (GKN e altre) e la giustizia sociale, sostenendo che senza di questa non vi è nemmeno giustizia climatica. Siete d’accordo con questa linea o ritenete che il focus sia sempre e solo la questione climatica?
Non è possibile separare le due cose, vanno declinate in un’unica narrazione. Fridays For Future da un paio di anni ha molto rafforzato la narrazione rispetto gli aspetti di giustizia sociale. Adesso si vedrà anche l’evoluzione della crescita di UG, ma è chiaro che giustizia climatica e giustizia sociale non sono aspetti separabili. Non a caso hanno entrambe la parola giustizia.
Voi ponete la transizione ecologica come questione centrale per porre fine al cambiamento climatico, ma come vedete il fatto che questo porti a nuove pratiche di sfruttamento come l’estrazione del litio e delle terre rare, pratiche di neocolonialismo nei Paesi del sud del mondo? La transizione ecologica è la soluzione definitiva al cambiamento climatico o ci sono delle sfumature anche su questo?
È il ministero ad avere il nome “della Transizione ecologica”. Noi chiediamo giustizia. Non si può pensare che con le auto elettriche si risolva il problema. Ci sono interessi molto radicati nel nostro modello di sviluppo economico da dover intaccare e abbandonare per poter arrivare a una soluzione. Non se ne trova tanto traccia nella narrazione che c’è stata fin qui di UG, perché abbiamo deciso di concentrarci sulle richieste con una narrazione semplice ed impattante, ma con la campagna primaverile questa verrà arricchita.
Qual è la vostra strategia nel lungo periodo? Vi concentrerete solo sull’Italia o avete intenzione di espandervi?
Abbiamo già messo in atto delle azioni coordinate: il blocco del Monte Bianco, per esempio, coordinato con il gruppo francese. Il giorno in cui abbiamo imbrattato l’opera di Andy Warhol a Milano era una giornata nella quale in tutti i Paesi della rete le opere d’arte sarebbero state un target. Per il resto, ci piacerebbe avere una strategia nel lungo periodo, ma il nostro successo deve essere ora. Le nostre campagne di aprile e maggio vedranno un’intensa mobilitazione a Roma e in altre parti d’Italia.
[di Valeria Casolaro]
Già.. le logiche delle contrapposizioni (o per meglio dire del benealtrismo, cioè affermare che ci siano altri problemi o soggetti sui quali lottare) implicano sempre una certa disaffezione (di chi muove la critica) verso l’intento stesso di esporsi per qualche causa. Non ha senso fare classifiche su cosa sia più necessario se non si capisce che si stanno facendo le stesse battaglie da punti diversi. Ognuno faccia quel che può, come e dove può, sulla base della propria affezione, ma nell’ottica della convergenza perché, come nell’esempio FFF/Gkn, nel n ci può essere giustizia climatica senza giustizia sociale (e libertà di espressione e tanto altro) e viceversa.
Tutto fa spettacolo, un pò come le scenette preparate a San Remo.
se avessero letto Bernays in “Propaganda” (1929) avrebbero bene a mente che strumento furono le suffragette, tornando ancora più indietro si potrebbero leggere “Psicologia delle Folle”(1875) di Gustav Le Bon, per comprendere che alla fine sono solo strumenti nelle mani di chi li finanzia. Nessun progetto alternativo, nessuna idea dietro al mero gusto per la spettacolarizzazione della scena. Potrebbero sostenere la causa di Julian Assange, se davvero avessero a cuore la verità. Per me sono solo l’ennesima Psy-Osp. E nemmeno ne sono consci.
Esattamente. Ignorare la provenienza dei finanziamenti non basta, perché a chi finanzia non interessa influenzare un movimento, ma intende usarlo e spingerlo per i propri interessi. Anche una spulciatina alla “casa madre” ER sono sicuro porterebbe a sapere cose interessanti su come vengono finanziati.
Sono d’accordo. Potrebbero appoggiare Assange e, per rimanere in Italia, i portuali di Trieste e di Genova.
stanno portando avanti ole “battaglie” di Davos
Ho avuto la stessa sensazione
Fatele voi le battaglie per Assange, loro hanno scelto la loro causa.
Voi per cosa lottate? Per cosa vi esponete? Per cosa siete disposti a farvi arrestare o finire in tribunale?