Per capire l’enormità di quanto accaduto bastano due dati: fino a ieri in Lombardia il dato di affluenza più basso di sempre era stato nel 2010, quando andarono a votare il 71,9% degli aventi diritto, questa volta l’affluenza è stata del 41,7%. Nel Lazio invece l’affluenza è stata del 37,2%, polverizzando il precedente record negativo del 66,5%. Quello del Lazio è stato nientemeno che il dato peggiore in tutta la storia dell’Italia repubblicana: mai dal 1948 ad oggi in nessun turno elettorale che riguardasse le elezioni nazionali o regionali era andata a votare così poca gente. Di fronte a un dato tanto impressionante l’edizione delle ore 20 di ieri del TG1, ovvero quello che secondo le rilevazioni ufficiali è ancora oggi il media che raggiunge più italiani, in 9 minuti di servizi dedicati alle elezioni è riuscito a non pronunciare nemmeno una volta la parola “astensione”. Una rimozione totale.
Per quello che conta i pochi che si sono recati alle urne hanno premiato il centro-destra. In Lombardia il governatore uscente Attilio Fontana è stato riconfermato con il 54,7% delle preferenze, contro il 33,9% del candidato di PD e M5S, Pierferancesco Majorino, e il 9,9% di Letizia Moratti (sostenuta da Azione – Italia Viva). Nel Lazio il candidato Francesco Rocca si è imposto con il 53,9% contro il 33,5% del candidato del centro-sinistra Alessio D’Amato e il 10,8% di quello del Movimento 5 Stelle.
Tornando al vero dato della tornata elettorale: per quale ragione quasi due elettori su tre hanno boicottato le urne? Sui quotidiani di oggi si sprecano le interpretazioni più fantasiose: c’è chi incolpa il fatto che le elezioni regionali si siano tenute a troppa poca distanza dalle politiche di settembre (come se il dato dell’affluenza non fosse in calo costante da ormai 20 anni), chi se la prende come al solito con il populismo dell’offerta politica (cosa significa? Nessuno lo sa spiegare), chi tira fuori l’eterna giustificazione del virus dell’anti-politica. Una spiegazione decisamente più plausibile la ipotizza invece il sondaggista Roberto Weber, dell’Istituto Ixé, che all’Ansa parla di un dato che «si innesta su una crisi della politica, sulla dissociazione tra rappresentati e rappresentanti». Tradotto: l’ipotesi è che le idee maggioritarie tra la popolazione non trovino rappresentanza in quelle dei partiti. Weber porta anche un esempio: «dai sondaggi emerge che il 55-60% degli italiani è contrario all’invio di armi all’Ucraina, ma il 90% dei partiti è invece favorevole».
Questo è un punto, ma non è tutto. Sono anni che una parte evidentemente ormai maggioritaria di elettorato trova inconcludente l’atto di andare a votare, spinto non solo dalla scarsa corrispondenza tra le proprie idee e i programmi elettorali dei maggiori partiti ma anche da fatto che quegli stessi programmi elettorali, anche quando sono sulla carta coraggiosi, si dimostrano irrimediabilmente carta straccia al momento in cui dovrebbero essere trasformati in pratica di governo. Ad esempio, nelle ultime tre tornate elettorali, gli elettori hanno premiato in massa partiti che sulla carta annunciavano di volersi opporre ai vincoli politici e di bilancio imposti dall’Unione Europea: prima i 5 Stelle, poi la Lega, in ultimo Fratelli d’Italia. Lega e 5 Stelle sono passati in un paio di anni da quello che avevano definito “governo del popolo” al fare da stampelle all’esecutivo Draghi. Fratelli d’Italia, allo stesso modo, ora che è maggioranza di governo si sta muovendo con il primo obiettivo di rassicurare i partner europei e americani, e in molte delle nomine chiave il nuovo esecutivo somiglia profondamente a un Draghi bis.
La verità è che nessun partito si preoccupa realmente dell’astensione. A parole tutti affermano che il loro obiettivo è riportare gli italiani alle urne, ma sono proclami vuoti. Anche in questo caso parlano i fatti. Non solo gli attuali leader hanno progressivamente svuotato i partiti da ogni meccanismo che potesse alimentare la partecipazione popolare temendo l’influenza dei propri iscritti (due esempi su tutti: le primarie del centro-sinistra che ormai non esistono più, così come la “democrazia diretta” degli iscritti promessa dai 5 Stelle), ma quando si avvicinano gli appuntamenti elettorali i candidati favoriti fanno di tutto per non alimentare l’affluenza. In questo senso la dimostrazione arriva dalla non campagna elettorale di Attilio Fontana in Lombardia, che ha sapientemente rifiutato ogni dibattito pubblico: forte dei sondaggi sapeva che gli sarebbe bastato non fare danni per confermarsi al potere della regione.
L’astensione si dimostra ancora una volta un prezioso alleato per una casta politica famelica di potere autoreferenziale. L’altro alleato è invece composto dai cosiddetti partiti anti-sistema che neppure sono riusciti a presentarsi alle urne, in buona parte alle prese con beghe varie e insensate lotte intestine.
[di Andrea Legni]
Sono andati a votare, a parte un manipolo di collusi con il potere, coloro che pensano che per governare una società moderna serva il pugno di ferro. Semper mala tempora currunt.
“l’ipotesi è che le idee maggioritarie tra la popolazione non trovino rappresentanza in quelle dei partiti”
E per forza! Le idee dei partiti ormai sono le idee delle lobby e dei padroni del vapore!