In Italia poco meno di un sesto della popolazione è composto da giovani (fascia 0-18) e più del 30% di questi si trova in una condizione di disagio sociale ed economico. In queste percentuali c’è un fenomeno collaterale di emarginazione e privazione che mina il diritto all’infanzia e all’adolescenza: la povertà educativa. Sono 1,4 milioni i minori che vivono in uno stato di povertà assoluta, il triplo rispetto allo scorso decennio, mentre circa 2,2 milioni si trovano in una condizione di povertà relativa. Questi indicatori in termini economici sono diversi da Paese a Paese, in Italia la povertà assoluta è generata da un calcolatore messo a disposizione dall’Istat per determinarne il valore. In una famiglia di due adulti e due bambini (0-3; 4-10), ad esempio, è di circa 1500 euro. La povertà relativa è invece attribuita a chi percepisce e vive con un reddito del 50% in meno rispetto alla media nazionale. Un dato in netta crescita.
Queste analisi sono il frutto dell’ultimo rapporto pubblicato dall’Osservatorio sulla povertà educativa, che fa leva proprio su questo fenomeno parallelo, analizzandone la complessità multidimensionale e i fattori che stanno letteralmente zavorrando il futuro di una generazione.
«La povertà educativa è un bambino che vive in una città come Napoli e non ha mai visto il mare» – così esordisce il presidente Marco Rossi-Doria dell’Associazione Con i Bambini, fautrice insieme alla Fondazione openpolis della banca dati che sta facendo luce da anni su una questione che ancora non ha un indicatore nazionale ammissibile. Secondo l’Istat, infatti, l’IPE – Indice di Povertà Educativa, si definisce attraverso quattro dimensioni: Partecipazione, Resilienza, Capacità di intessere relazioni e Standard di vita; ma si riferisce solo a un target di giovani tra i 15 e i 29 anni. La mancanza di dati aggiornati a livello locale e il range, che non comprende tutte le fasce dell’età evolutiva, su cui si basano queste metriche, non ci fornisce un quadro completo.
La povertà educativa è certamente frutto di un contesto economico, familiare e territoriale ma investe anche la dimensione emotiva. Lo stimolo alla conoscenza, l’accesso alle risorse quotidiane quali sport, istruzione, gioco, cultura, informazione ed educazione, che sono a loro volta strumenti per la crescita personale e l’integrazione sociale, sono diritti imprescindibili di ogni bambino. E la scuola che si fa già carico di un triplice compito, dall’istruzione all’insegnamento di nuovi linguaggi fino all’educazione civica (intesa nel più ampio senso del termine) non può certo supplire da sola alle fragilità peculiari delle singole famiglie e dei bambini che, a onor del vero, se ne fanno carico.
L’alternativa è possibile
Se si pensa che siamo la terza nazione in Europa con il più alto tasso di abbandono scolastico dopo la Romania c’è sicuramente un problema di sistema. Esiste però un’intera comunità educante attiva in modo distintivo sui diversi territori italiani, un ponte tra le opportunità e l’accesso a queste. Parliamo di centri di aggregazione, case famiglia e associazioni, microcosmi in cui i bambini possono permettersi di “crescere”.
Dal 2016 esiste un fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile in Italia, grazie a un protocollo d’intesa fra le Fondazioni di origine bancaria, l’ACRI (Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio SpA) e il Governo, con la collaborazione del Forum Nazionale del Terzo settore.
Proprio questo settembre il fondo ha dato vita ad un progetto che durerà fino alla fine del 2025. Si chiama “Villaggio Educante” e coinvolge 17 Comuni del Friuli Venezia Giulia, 1200 bambini, 100 insegnanti ed educatori e oltre 50 operatori del settore. Un’opportunità per integrare 4 nuove strutture di asili nido ampliando scuole dell’infanzia esistenti e avviare laboratori permanenti con attività extrascolastiche come danza, arte, musica, inglese, psicomotricità e pet education, anche per i non iscritti. Sono previsti, inoltre, programmi di sostegno alla genitorialità in cui è anche possibile confrontarsi tra famiglie. Per i docenti, invece, sarà costituito un progetto di formazione continua multidisciplinare per sviluppare un modello operativo dinamico e coerente con gli obiettivi di contrasto alla povertà educativa.
Oggi anche 19,44 miliardi del PNRR sono destinati al potenziamento dei servizi di istruzione e a questi si aggiungono altri interventi trasversali attuati dal resto della comunità educante. I punti cardine saranno: più asili nido, risanamento dell’edilizia scolastica e riduzione dei divari educativi.
In un Paese con disparità territoriali profonde, un forte multiculturalismo di seconda generazione (sono circa 1,3 milioni i bambini stranieri o italiani per acquisizione) si auspica un intervento puntuale e ottimizzato, su strutture, personale e approcci. Non si tratta solo di risanare il giovane patrimonio umano in contesti periferici e creare un nuovo ecosistema di servizi per l’infanzia, adeguato alle nuove generazioni; occorre, come individuato dall’Osservatorio, considerare i giovani come risorse e non solo fasce da tutelare, attuare un cambiamento partecipativo e di ascolto, indirizzando i fondi alle reali necessità che chiede il “nostro futuro”.
[di Samyra Musleh]