Alla ricerca di alleanze e armi da inviare all’alleato ucraino, il generale Laura Richardson, capo del comando meridionale degli Stati Uniti, ha inviato a tutti i Paesi sudamericani una precisa offerta, chiedendo ai loro governi di approvare l’invio a Kiev dei loro vecchi armamenti di origine sovietica ed offrendo in cambio la progressiva sostituzione con equipaggiamenti militari americani di più nuova fabbricazione. Un’offerta che nasceva dalla considerazione che gli armamenti russi sono quelli più familiari ai soldati di Kiev, che possono utilizzarli da subito senza necessitare di lunghi addestramenti. Non solo alla proposta americana è stato opposto un coro di “no”, ma i governi sudamericani hanno denunciato la proposta ribadendo – con toni diversi ma ugualmente risoluti – il rifiuto alla guerra. Dal Messico all’Argentina, passando per Cile, Brasile e Colombia, dai paesi latinoamericani non una sola pallottola prenderà la strada di Kiev.
«Anche se finiscono come rottami in Colombia, non consegneremo armi russe da portare in Ucraina per prolungare una guerra (..) Non siamo con nessuna delle due parti. Siamo per la pace» ha dichiarato il presidente colombiano Gustavo Petro. «Il Brasile non ha alcun interesse a trasmettere munizioni da utilizzare nella guerra tra Ucraina e Russia (…) Il Brasile è un paese di pace», ha affermato Lula. «Non credo che l’invio di armi per prolungare un conflitto abbia sostegno in America Latina» gli ha fatto eco Marcelo Ebrard, ministro degli Esteri messicano. Da Buenos Aires non hanno degnato gli USA nemmeno di una risposta da parte di un profilo di vertice del governo, chiudendo la questione con uno scarno comunicato del portavoce del ministero della Difesa: «L’Argentina non coopererà con la guerra». Opposizione ferma anche da parte del governo cileno, che ha offerto all’Ucraina solo un sostegno per l’aiuto nello sminamento del territorio. Il Perù e l’Ecuador non hanno fornito alcuna risposta ufficiale, ma niente lascia presagire che abbiano intenzione di assecondare Washington.
L’opposizione di questi Paesi si aggiunge a quella più volte ribadita dai Paesi storicamente socialisti, come Cuba, Venezuela, Bolivia e Nicaragua. Con questi stati “canaglia” Washington non ha nemmeno tentato un approccio.
Il rifiuto di massa dei paesi sudamericani non nasce solo da ragioni ideali ed ideologiche, ma è la testimonianza plastica di un cambiamento profondo in atto nel continente. Da tempo i Paesi di quello che un tempo era considerato “il giardino di casa” degli Stati Uniti d’America guardano con interesse a proficui rapporti con la Russia, la Cina e ogni altro partner che possa stringere rapporti economici improntati allo sviluppo reciproco: un continente che punta alla neutralità e guarda con attenzione al redivivo movimento dei Paesi non allineati. Il processo di allontanamento da Washington pare irreversibile ed è culminato poche settimane fa nella proposta comune di Brasile e Argentina di progettare una moneta comune, intanto tra i due giganti del continente ma potenzialmente aperta alle altre nazioni latinoamericane. Un progetto visto come fumo negli occhi dagli Stati Uniti, ancora tutt’altro che rassegnati a perdere la loro storica egemonia sulla regione.
Speriamo che gli Usa accettino il decadimento della loro influenza e potere nel mondo senza colpi di testa pericolosi.
Speriamo che il Sudamerica, con la creazione di un Terzo Polo, non segua le orme italiane di Calenda & co…