Il Tribunale di Roma ha condannato il ministero della Difesa a risarcire, con 600mila euro, la famiglia del militare casertano Leopoldo Di Vico, deceduto nel marzo 2015, a soli 58 anni, dopo una lunga malattia contro il cancro sviluppatosi in seguito a esposizione ad amianto e altre sostanze cancerogene durante le missioni in Albania e in Kosovo. A renderlo noto è l’Osservatorio Nazionale Amianto (ONA). Da anni, l’associazione denuncia i rischi legati all’uranio impoverito, alle radiazioni e alle conseguenti nanoparticelle «che hanno provocato almeno 400 decessi solo per tumori emolinfopoietici tra tutti coloro che sono stati impiegati nelle missioni all’estero», come ricordato dal presidente ONA Ezio Bonanni.
«Una dura battaglia quella del luogotenente dell’Esercito Italiano, meccanico dei mezzi blindati e corazzati ed ennesima vittima dei proiettili all’uranio impoverito, dei metalli pesanti, e dell’amianto, che hanno provocato l’insorgenza del carcinoma uroteliale del bacinetto renale», ha dichiarato l’Osservatorio Nazionale Amianto, in prima linea nel caso Di Vico. Inizialmente, il ministero della Difesa aveva negato il riconoscimento della causa di servizio e dello status di vittima del dovere, salvo tornare sui propri passi in seguito alla morte del militare e al contenzioso giudiziario seguito proprio da Bonanni.
Leopoldo Di Vico è una delle tante vittime della “Sindrome dei Balcani”, ovvero quella lunga serie di malattie, per lo più linfomi di Hodgkin e altre forme di cancro, che hanno colpito i soldati italiani al ritorno dalle missioni di pace internazionale, con particolare riguardo per le operazioni in Bosnia Erzegovina e Kosovo. Nel 1995 e nel 1999 i due Paesi balcanici vennero infatti colpiti dalla NATO con proiettili all’uranio impoverito (DU). Una sentenza del 2013, emessa dalla Corte dei Conti della Regione Lazio, ha accolto il ricorso presentato da un militare ammalatosi di tumore, al quale il ministero della Difesa aveva rigettato la richiesta di pensione privilegiata. La sentenza ha sottolineato la correlazione tra la malattia e le condizioni ambientali in cui il militare aveva prestato servizio (Kosovo).
Diverse perizie medico legali nominate dalla Corte hanno confermato la presenza, nei tessuti neoplastici del soldato, svariate nano-particelle “estranee al tessuto biologico, che quindi testimoniano un’esposizione a contaminazione ambientale”. Dagli atti risulta, inoltre, che “tutti gli alimenti distribuiti alla mensa e allo spaccio della base ove prestava servizio il ricorrente, compresa l’acqua utilizzata sia per l’alimentazione sia per l’igiene personale, erano oggetto di approvvigionamento in loco” e quindi inquinati da DU e dalle sue micro polveri. Un’informazione che assume ancor più rilevanza se si considera che la zona del Kosovo posta sotto protezione del contingente italiano fu la più bombardata dalla NATO nel 1999: 50 siti per un totale di 17.237 proiettili.
[di Salvatore Toscano]