L’uso di antibiotici nell’allevamento animale, cioè uno dei fattori che maggiormente contribuisce a inspessire la resistenza antimicrobica, aumenterà dell’8% entro il 2030, nonostante gli sforzi di limitarne e controllarne l’uso. Oltre a non essere una buona notizia per gli animali stessi, le previsioni, fatte incrociando i dati della World Organization for Animal Health (WOAH) sull’utilizzo di antibiotici e quelli dell’ONU sul numero di animali da allevamento, sono piuttosto preoccupanti anche per noi. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) dice che la resistenza antimicrobica, cioè la diminuzione dell’efficacia dei farmaci per il trattamento delle infezioni batteriche, è una delle maggiori minacce alla salute globale, allo sviluppo e alla sicurezza alimentare.
Infatti è opinione diffusa tra gli esperti ritenere che l’uso eccessivo di antibiotici negli animali sia una delle principali cause dell’aumento negli esseri umani di infezioni batteriche che non possono essere trattate con antibiotici. Ne sono una prova evidente infezioni tra cui polmonite, tubercolosi e salmonellosi, che stanno già mostrando una crescente resistenza al trattamento antibiotico.
L’abuso ‘medico’ negli allevamenti animali deriva principalmente dal fatto che gli antibiotici non sono usati solo come antibiotici, cioè per trattare le infezioni nel bestiame. Sono invece molte volte impiegati per due motivi: accelerare la crescita degli animali – aggiungendoli ai mangimi- ed evitare che in condizioni affollate e antigeniche (come quelle degli allevamenti intensivi) questi si ammalino. Praticamente è diventato sempre più comune l’uso massiccio di antibiotici come misura preventiva, anziché di trattamento. Un problema che non si esaurisce così. Si stima che fino al 90% degli antibiotici assunti dagli animali vengano rilasciati nell’ambiente attraverso urina e feci, mischiandosi con le acque sotterranee e superficiali.
Molti Governi – tra cui quelli europei e USA – hanno introdotto nel proprio ordinamento regole precise per ridurre l’uso di antibiotici. In questi Paesi, ad esempio, l’uso di antibiotici che promuovono la crescita è espressamente vietato. Ma, per i produttori, non è così complicato aggirare la normativa: basta infatti giustificare l’impiego di medicinali in ottica di prevenzione delle malattie. Lo studio ha inoltre portato alla luce un altro ‘trucco’ adottato da parecchi allevatori per abbassare le stime di consumo di antibiotici. Molti Paesi, infatti, non includono tra gli antibiotici gli ionofori, molecole organiche impiegate come additivi nel mangime per migliorare l’efficienza alimentare e l’incremento ponderale giornaliero. Una ‘tecnica’ che spiega perché l’utilizzo di medicinali nel pollame in diversi Paesi – tra cui il Regno Unito – si sia praticamente dimezzato rispetto alle stime precedenti, nonostante il numero di animali continui ad aumentare in tutto il mondo.
Queste previsioni, seppur già preoccupanti di per sé, potrebbero non essere del tutto complete o parzialmente vere. Tant’è che il 40% dei Paesi valutato dai ricercatori (su 229) dichiara di non utilizzare antibiotici per animali. I dati invece dicono che nel 2020 nel mondo ne sono stati usati quasi 100mila tonnellate, valore destinato a salire di altre decine di migliaia nei prossimi anni.
Gli epidemiologi Van Boeckel e Ranya Mulchandani, che hanno lavorato alla ricerca insieme a molti altri colleghi, hanno calcolato, ad esempio (incrociando una serie di dati diversi) che l’uso di antibiotici in Africa e in Asia è probabilmente il doppio di quanto dichiarato alla World Organization for Animal Health. Paesi, tra l’altro, in cui il consumo continuerà ad aumentare a causa dell’aumento della domanda di prodotti a base di carne.
Sebbene la situazione peggiore si riscontri in aree extra europee, anche l’Europa però mostra dei picchi piuttosto evidenti tra cui quelli in Germania, Spagna e (Nord)Italia. Secondo i dati del Piano Nazionale di Contrasto dell’Antimicrobico-Resistenza, presentati in uno studio del Policlinico Gemelli pubblicato sulla rivista Igiene e Sanità Pubblica, il 50% degli antibiotici consumati in Italia è destinato al settore veterinario. Secondo Van Boeckel, rendere i dati sull’utilizzo degli antibiotici più aperti e accessibili al pubblico potrebbe portare a una maggiore responsabilizzazione dei Paesi che non usano gli antibiotici in modo responsabile (sia nell’allevamento che nell’agricoltura). Servirebbero, tra l’altro, regole molto più severe, come quelle applicate da Norvegia, Finlandia, Svezia e Danimarca, dove esiste l’obbligo della ricetta elettronica veterinaria per i farmaci per gli animali. Secondo i dati dell’EMA (l’Agenzia Europea del Farmaco) la carne venduta in Italia contiene probabilmente una quantità di antibiotici pari a 2,5 volte la media europea. I Paesi del nord, invece (tra cui la citata Svezia) ne usano fino a 50 volte meno.
[di Gloria Ferrari]
anche in Italia è obbligatoria la ricetta elettronica veterinaria
e’ un mondo di merda fatto da persone di merda ..
non c’è altro da aggiungere ..
Da noi il 75% degli animali è allevato in gabbia mentre in Svezia non si supera il 20% vedi link https://ilfattoalimentare.it/gabbie-allevamento-ciwf.html. E’ anche vero che la Svezia ha 10milioni di abitanti su 450.000kmq contro i 60milioni di italiani su 330.000kmq e quindi ha molto più spazi ma è sicuramente anche una questione culturale, in Italia gli allevamenti all’aperto sono in totale una trentina!! E l’antibiotico è infatti strettamente legato all’allevamento intensivo, senza antibiotici in questo tipo di allevamenti gli animali morirebbero nel giro di qualche giorno!!