La Corte d’Assise d’appello di Trento ha confermato la condanna per Saverio Arfuso, cinquantenne calabrese di Cardeto, per i reati di associazione di stampo mafioso e riduzione in schiavitù: All’uomo, che è il primo condannato per mafia in Trentino-Alto Adige, erano già stati comminati in primo grado 10 anni e 10 mesi di reclusione. In appello la pena è scesa a 8 anni e 10 mesi, ma solo per un errore nel computo delle aggravanti. Secondo il pubblico ministero, Arfuso avrebbe avuto un ruolo apicale nel business della ‘ndragheta nelle aree dei comuni di Albiano e Lona-Lases. La sentenza ha inoltre riconosciuto 30.000 euro a tre lavoratori cinesi ridotti in schiavitù e 10.000 euro per ciascuno degli enti e delle istituzioni che hanno deciso di costituirsi parti civili.
Quello denominato “Perfido” è il primo grande processo per mafia che si tiene in Trentino. Tutto è nato il 15 ottobre del 2020, quando una maxi-operazione dei carabinieri del Ros ha portato a 19 misure cautelari nei confronti di presunti ‘ndranghetisti accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso. Partendo da indagini su un grosso giro di affari nel settore del porfido (gli operai cinesi ridotti in schiavitù lavoravano all’interno delle cave), gli inquirenti hanno portato alla luce la capacità operativa nel Trentino di una associazione mafiosa autonoma – con tentacoli in tutto il territorio e solidi “ponti” con la politica e l’economia locale – collegata alla potente famiglia reggina dei Serraino.
Nel frattempo, il 9 febbraio è iniziato un altro filone del processo, che vede alla sbarra anche Innocenzo Macheda, il soggetto che viene inquadrato come il capo dell’organizzazione. Tra gli imputati ci sono anche Giuseppe Battaglia, assessore comunale di Lona-Lases dal 2005 al 2010 con competenza sulle cave, Giuseppe Mario Nania, considerato il braccio della ‘ndrangheta sul territorio, e Antonio Quattrone, che secondo i pm teneva i rapporti tra i membri delle cosche e l’universo imprenditoriale. Nonostante il Tribunale di Trento avesse applicato nei mesi precedenti la misura di sorveglianza speciale per alcuni di essi a causa della loro pericolosità, cinque giorni prima dell’inizio del dibattimento gli imputati sono stati scarcerati dalla Corte d’Assise, che ha però imposto nei loro confronti l’obbligo di firma e di dimora.
Lo scorso dicembre erano arrivate altre pesanti condanne per due imputati che avevano optato per il rito abbreviato, Domenico Morello e Pietro Denise, puniti rispettivamente con 10 e 8 anni di carcere per mafia. Per loro era stata disposta anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e l’obbligo di risarcimento del danno subito dai lavoratori cinesi ridotti in schiavitù, nonché del danno d’immagine subito dalla Provincia autonoma di Trento.
[Stefano Baudino]