Negli ultimi mesi centinaia di studentesse iraniane (si dice circa 700 ma non ci sono dati certi), di almeno trenta scuole femminili diverse, sono state intenzionalmente avvelenate – come ha confermato qualche giorno fa il viceministro della Salute Younes Panahi – con composti chimici. Secondo i media locali gli episodi di avvelenamento, cominciati a dicembre nella città di Qom e accaduti poi anche in altre zone dell’Iran – si dice circa 15 -, potrebbero essere stati architettati da fanatici religiosi per impedire alle ragazze di frequentare la scuola. Alcune di loro, infatti, dopo una giornata trascorsa in classe, hanno manifestato nausea, mal di testa, tosse, difficoltà respiratorie, palpitazioni e stati di sonnolenza acuta, e per questo sono finite anche in ospedale.
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— News9 (@News9Tweets) February 27, 2023
La scelta di concentrare gli attacchi iniziali su Qom, una città che ospita più di un milione di abitanti a poco più di 150 chilometri dalla capitale Teheran, potrebbe non essere casuale. Il suo è considerato un territorio santo per diversi motivi: fra le sue strade sorgono le sedi di molte istituzioni religiose e si tengono periodici seminari per studi teologici sciiti. Dopo gli attacchi, le scuole della città sono state costrette a chiudere per due giorni, principalmente per via della mole di avvelenamenti – anche se Panahi ha detto in conferenza stampa che il ‘veleno’ utilizzato è per lo più trattabile senza particolari interventi – e per la conseguente paura scaturita in alunne e famiglie – che tra l’altro il 14 febbraio hanno protestato davanti all’ufficio del Governatore.
Mia corrispondenza, ore 9, su @RadioRadicale:
Ancora impiccagioni nelle prigioni in #Iran e ancora casi di avvelenamento respiratorio delle studentesse senza velo nelle scuole di Qom; estremisti religiosi si oppongono alla presenza delle donne nelle scuolehttps://t.co/F6hibvoWhk pic.twitter.com/82aZspqRLh— Mariano Giustino (@MarianoGiustino) February 28, 2023
In generale, pare che quello che gli attacchi vogliono mettere in discussione è il ruolo della donna, in questi mesi figura chiave e dominante nello scenario iraniano delle proteste di piazza. Dopo la morte di Mahsa Amini, la giovane arrestata lo scorso settembre per non aver indossato correttamente il velo e uccisa mentre era in custodia dalla polizia, moltissime ragazze sono scese in strada, si sono mostrate sui social mentre tagliavano i capelli e bruciavano il velo islamico, in un atto di ribellione pieno di frustrazione e malcontento rivolto all’establishment teocratico che da 40 anni soffoca il Paese. Tutte azioni, per interesse e cultura, giudicate intollerabili dalle autorità religiose iraniane.
[di Gloria Ferrari]