Dopo quasi vent’anni di ciclici rinvii, gli Stati membri dell’Onu hanno raggiunto sabato notte un importante accordo per il Trattato di protezione delle acque internazionali. Il Trattato è il passo essenziale per stabilire regole che vadano a regolamentare lo sfruttamento di tutte quelle acque che non ricadono entro i confini nazionali di alcuno Stato, fino ad oggi – di fatto – terra di nessuno e di conquista nonostante il ruolo fondamentale che svolgono a livello ambientale, climatico e di preservazione della biodiversità marina.
Sono servite intere giornate di estenuanti trattative, poi la presidente della conferenza, Rena Lee, ha annunciato ai delegati che il trattato è finalmente stato concordato: «A Singapore ci piace intraprendere viaggi di apprendimento, e questo è stato il viaggio di apprendimento di una vita», ha detto commossa ai delegati, ringraziandoli per la dedizione e l’impegno profusi. Il testo sarà ora editorialmente rivisto e tradotto, poi adottato formalmente in un successivo incontro.
Le acque internazionali costituiscono quelle parti di oceano che si trovano oltre le 200 miglia nautiche dalla costa, ovvero al di fuori delle frontiere della Zona Economica Esclusiva (ZEE) di ogni nazione, in cui tutti gli Stati hanno il diritto di navigare, pescare e fare ricerca. A causa delle frammentarie, confuse e mal applicate norme che fino ad ora le hanno riguardate, tali aree sono state soggette allo sfruttamento in misura molto più consistente rispetto alle zone costiere, nonostante svolgano un ruolo fondamentale nel limitare le conseguenze del riscaldamento globale e preservare l’habitat di specie vitali per l’ecosistema.
Le misure in cui sfocerà l’accordo saranno necessarie per far rispettare l’impegno 30×30 assunto dagli Stati alla Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità, al fine di proteggere due terzi dell’oceano entro il 2030. Il trattato delineerà infatti un quadro giuridico per l’istituzione di estese zone marine protette (Amp), al fine di preservarle dal declino della biodiversità animale, limitando le quote riservate alla pesca, le rotte marittime e le estrazioni minerarie in acque profonde. Sarà poi creata una una conferenza delle parti (Cop) che si riunirà a cadenza periodica, in cui i Paesi membri saranno chiamati a rendere conto sui temi di biodiversità e governance. Massima attenzione è stata inoltre dedicata al tema della condivisione delle risorse genetiche marine, ovvero del materiale biologico proveniente da piante e animali che può essere utilizzato nell’ambito della produzione farmaceutica, dell’utilizzo di nuovi alimenti e dello sviluppo di processi industriali.
Veronica Frank, consulente politico di Greenpeace, ha espresso grande soddisfazione: «Il mondo è molto diviso, ma vedere questo sostegno al multilateralismo è davvero importante». Ha poi aggiunto che ora sarà fondamentale «utilizzare questo strumento per sviluppare molto rapidamente l’obiettivo 30×30». Commenti entusiastici sono arrivati anche dal commissario europeo per l’ambiente, gli oceani e la pesca, Virginijus Sinkevičius, che ha parlato di un «momento storico per l’oceano», con cui si compie «un passo cruciale in avanti per la protezione della vita marina e la biodiversità, essenziali per noi e le generazioni future».
[di Stefano Baudino]