Avevo otto anni quando mi sono innamorato della cultura Hip Hop. Correva l’anno 1984 e il mio più grande sogno era che tutti condividessero la mia grande passione per la musica rap. I tempi non erano maturi, soprattutto in Italia, ed eravamo visti come degli alieni. Eravamo in pochi, sparsi per tutta la nazione e coltivavamo l’incrollabile sicurezza di aver intravisto in questa cultura una porzione di futuro. La forza comunicativa del rap ci aveva investito con tutta la sua potenza.
Da allora qualche progetto rap sporadicamente ha fatto capolino in classifica ma, anche se con riscontri importanti, restavano casi isolati. Oggi invece, il dato impressionante che da qualche tempo è sotto gli occhi di tutti, è che la top ten dei brani e degli album più venduti in Italia sono per l’80% rap. Possiamo chiamarla trap, ora il nuovo trend è la drill, ma entrambe fanno riferimento ad un unico movimento padre fondatore.
L’arma vincente di questa musica è la capacità di raccontare l’immediato. E di una vera e propria arma si tratta. È nata per strada, non usa mezzi termini e spesso, più che parlare al cuore, colpisce allo stomaco.
Il dato che riportano le classifiche di vendita fa storcere il naso a molti perché ci sbatte in faccia la realtà. Una nuova generazione ha preso in mano il mercato discografico e se ce ne rendiamo conto solo oggi, siamo già in ritardo di qualche anno. Si perché il percorso che ha portato a questo risultato è iniziato nel 2016 quando Sfera, Ghali, IZI e pochi altri hanno iniziato a muovere numeri impressionanti. Trasformando un mercato discografico di copie fisiche che ormai non si vendevano più in milioni di streaming.
Questi artisti hanno iniziato a parlare ad una generazione che nella musica italiana non trovava un loro rappresentante. Sono partiti da Youtube, con video auto-prodotti e liriche sentite che raccontavano il disagio che respiravano nei loro quartieri, collezionando fin da subito milioni di visualizzazioni. Sono figli dei rappers italiani che all’inizio del nuovo millennio hanno riportato il rap in Italia sotto i riflettori, la Dogo Gang di Guè, Jake e DonJoe, Marracash, Fabri Fibra. Rappers che rispetto alla generazione dei ‘90 si sono dimostrati fin da subito poco interessati ad un impegno sociale che fin dagli arbori ha caratterizzato questo genere musicale in Italia. A loro modo hanno interpretato la piega che stava prendendo la nostra società, basata più sull’affermazione di un personale riscatto sociale.
Chiuso il 2022 abbiamo trovato, tra gli album più venduti e i brani più ascoltati, artisti che sono cresciuti assieme e negli ultimi anni si sono influenzati a vicenda. Gli unici cantanti pop italiani premiati dalla classifica italiana sono quelli che vivono a stretto contatto con la realtà rap. Irama e Blanco sono in scuderia con Sfera, Rkomi e Ernia. Mentre Mahmood, Marco Mengoni e Elodie risultano vincenti perché appartengono ad un mondo Urban dalle chiare radici Rap R’n’B. Il messaggio suona chiaro e forte, il mercato discografico è in mano ai giovani, e forse è così da sempre. Per dirla alla Salmo: “Fuori dai coglioni i vecchi scorreggioni della pop music”. Il rap non le manda a dire e quando c’è da fare gli sbruffoni i rappers ci tengono a diventare odiosi.
La musica è la colonna sonora della società, la velocità con cui si affermano nuovi trend ci da un’idea di quanto fatichiamo a renderci conto dei tempi che cambiano. Ed ecco spuntare in classifica nomi giovanissimi come ThaSup o Geolier che riescono a spostare l’asticella ancora più su. Ascoltando i loro testi c’è da essere seriamente preoccupati per lo stato di salute della nostra gioventù. Sono geniali, taglienti, spaventati e ansiosi allo stesso tempo. I più giovani vivono la realtà senza filtri, i più sensibili ne vengono investiti a tal punto da reagire in modo spropositato. Le rime e i suoni che caratterizzano la musica trap sono la perfetta trasposizione della violenza che i nostri ragazzi respirano ogni giorno. Violenza che quando non è fisica diventa verbale o psicologica. E così i bassi diventano profondi, il beat è un pugno in faccia, non c’è spazio per archi o strumenti musicali dalle frequenze eteree che ti trasportano su un piano più elevato. Tutto si fa’ scuro. L’immaginario diventa più duro e il tatuaggio in faccia, i gioielli e occhiali da sole spesso diventano un “trucco” per nascondere un viso da bravo ragazzo.
In questo mondo dove i giovani la fanno da padrone (almeno in ambito discografico), gli adulti dove sono? Semplice, ascoltano poca musica. Quando la ascoltano lo fanno con mezzi obsoleti che non hanno un peso sul mercato, come vecchi cd, i nostri amati vinili o nel migliore dei casi andando ad un concerto. Purtroppo per la maggior parte degli adulti la musica è un sottofondo radiofonico che gli tiene compagnia nei noiosi spostamenti in auto.
Chi è più adulto ha la grande occasione di conoscere a fondo il mondo dei giovani attraverso la loro espressione musicale. Invece di criminalizzare un genere musicale dovremmo chiederci cosa facciamo noi per coltivare e alimentare il nostro bisogno di buona musica. Prima di tutto perché la musica che rappresenta un mondo adulto chiede a gran voce dove siano finiti tutti e soprattutto perché questi giovani trappers selvaggi sono lo specchio della società che abbiamo creato per loro.
[di Massimiliano Cellamaro, in arte Tormento]
bellissima riflessione, grazie