Nella città di Utopia un giorno arrivò il guru. Non era il Nazareno, non si chiamava Karl, non lo avevano cacciato da Lugano, no, lui il guru era un paesano e a Utopia piaceva ascoltare le sue parole confortanti, parlava male di tutto meno che dei suoi amici che lo avevano da poco impalmato.
I giovani erano incantati, credevano che fosse John Kennedy, Martin Luther King, o forse addirittura Malcolm X, tuonava contro il potere, parlava della libertà minacciata, lui che aveva tutto quello che gli serviva.
Era a conoscenza che quei ragazzi qualche volta si facevano una canna e dunque si approfittava di un loro momento di gioioso sbandamento mentale per sparare le sue ovvietà da primo della classe.
Amico mio, si fa per dire, il problema sono gli ignoranti non gli intellettuali, i barboni incazzati con la vita, non i borghesi in libera uscita, il problema è la fatica inconcludente, la tragedia di non essere amati, la carità pelosa, le chiacchiere dei filosofi da week end, le prediche ipocrite, le promesse non mantenute.
La tragedia è fare economia su tutto, iniziare la giornata con una rabbia senza uscita, alimentare una speranza come una droga, sopportare perché tutto ciò è inevitabile, sognarsi cinque giorni di crociera su quelle navi del cazzo, e dire sempre sì, sì, sì sperando che serva a qualcosa.
Guru, mettiti un sacco sulle spalle, fai a meno della tua abilità consolatoria e manipolatrice e mettiti in marcia con una compagnia di poveri e di incazzati, di gente semplice, di delusi e sfiduciati.
Falli pensare, metti dei dubbi, non consolarli, indica loro delle strade di verità e di liberazione. Incomincia a vivere e a farli vivere.
[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]
Ma, CAPRETTINI, a me pare che lei parli solo a sè stesso. Parole che girano a vuoto, senza una direzione precisa e determinata. Aria fritta.