Modena – Centinaia di persone hanno manifestato domenica per ricordare le nove morti avvenute nel carcere di Santa Maria, l’8 marzo 2020. Quella che fu, per la piazza, una “strage di Stato”, e che in effetti – proprio come molte stragi della storia repubblicana – ha visto l’indagine giudiziaria che avrebbe dovuto fare luce sui fatti prematuramente archiviata. Un corteo che è stato anche contro le condizioni carcerarie e in favore della lotta contro il 41-bis portata avanti da Alfredo Cospito, detenuto anarchico al carcere duro in sciopero della fame da più di 4 mesi. Tanti gli interventi, gli slogan, le canzoni, la musica; tanta la rabbia di chi chiede giustizia per morti che rischiano di venire dimenticate.
Nonostante l’ingente schieramento delle forze dell’ordine, più di 400 persone hanno attraversato le strade della città fermandosi a fare un lungo saluto ai detenuti del carcere modenese, con interventi e musica. Fuori dal carcere è stata anche installata una cella delle dimensioni previste per i sottoposti al regime del 41-bis, dove poter entrare per capire sulla propria pelle cosa significhi vivere il carcere duro. Pochissimi metri quadri per camminare, assenza quasi totale di luce. «Questa è tortura di Stato», dicono i manifestanti. «Siamo scesi in piazza per pretendere verità e giustizia sulle morti in carcere, per denunciare le condizioni delle carceri, per l’abolizione dell’ergastolo e del 41-bis e per fermare la repressione nei confronti del dissenso e delle lotte sociali». Molte le istanze del corteo dove erano presenti anche associazioni antifasciste modenesi, collettivi anarchici, sindacati di base (SI Cobas).
I morti nelle carceri del 2020
Notte tra il 7 e l’8 marzo 2020, nel pieno della prima ondata pandemica. Giuseppe Conte firma il decreto che chiude tutto, in Lombardia così come in 14 province del centro-nord, compresa Modena. Obbligo di evitare ogni spostamento, invito a non uscire di casa e al distanziamento sociale: inizia il lockdown. Dentro le celle, così come gli italiani a casa, i detenuti assistono al flusso televisivo che invita perentoriamente a mantenere le distanze e indossare le mascherine. Il terrore del contagio è alle stelle.
Fuori la direttiva è stare a metri di distanza fisica. Nelle carceri italiane, dove il sovraffollamento è la normalità da anni, le misure preventive alla diffusione del virus non esistono. Anzi, aumenta la repressione contro i detenuti. Bloccano anche i colloqui, una dei pochi spazi di socialità possibili, proprio l’8 marzo 2020. Nelle carceri si diffonde il terrore del contagio e la paura per i cari che si trovano fuori, amplificata dall’impossibilità di vederli.
Negli istituti penitenziari di tutta Italia scoppiano le proteste più forti degli ultimi decenni. Tra il 7 e il 10 marzo, in moltissime carceri italiane si alzano voci di dissenso che finiscono in rivolta. Tre detenuti muoiono a Rieti, e uno a Bologna. Poi, il caso più grave: Modena.
A Modena i detenuti erano 546, i posti ufficiali 369. Il 7 marzo il primo contagio. Esplode la rabbia. Il carcere è messo sottosopra, una grande parte viene resa inagibile. E lì, i primi morti. Gli altri decessi, i giorni successivi. Alla fine dei quattro giorni di sommossa il conto totale è di 13 cadaveri. Per la giustizia è stata tutta colpa del metadone. Per associazioni, detenuti e famigliari, la dinamica sarebbe ancora da indagare. Si chiede risposta sulle omissioni di soccorso, sulle violenze, sulle mancate cautele.
Su vari dei corpi dei morti infatti ci sono escoriazioni, ecchimosi, ematomi. Mancano denti. Costole incrinate, fratture. Due giorni dopo muore anche Salvatore Piscitelli, trasferito nel carcere di Ascoli Piceno in seguito alle rivolte. Tutti, secondo la procura, morti per overdose, per aver ingerito troppi farmaci rubati dall’infermeria.
A giugno del 2021 viene diffuso in video dei pestaggi avvenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Poi si parla delle spedizioni punitive testimoniate da molti dei detenuti trasferiti. Botte, vessazioni, minacce. Abusi di vario tipo usati come metodo repressivo diffuso. Una vendetta dello stato, e un invito a tacere su ciò che era successo. Si riapre il dibattito, ma solo per poco. Il 16 giugno 2021 l’indagine sulle morti di Modena viene archiviata.
In due pagine e mezzo il giudice sancisce l’assenza di responsabilità del personale penitenziario e medico della struttura. Resta l’indagine contro i detenuti, indagati per devastazione e saccheggio. Per i morti, cala il silenzio. I loro parenti domenica erano a Modena per chiedere verità e giustizia, la verità ufficiale non può accontentarli. Non ci crede Najet Ben Salah che suo marito sia morto di overdose nel carcere di Modena. È sicura che lo abbiano ucciso durante la rivolta. «Qualunque cosa sia successa a mio figlio, la considero responsabilità dello stato italiano». dice la madre di un altro dei ragazzi morti al Sant’Anna. In Tunisia la procura ha avviato un indagine per sospetto omicidio, per la morte di alcuni suoi concittadini durante le rivolte. Ma in Italia, per i morti di Modena, l’indagine è chiusa.
Nel 2022 sono 84 le persone che si sono tolte la vita nelle carceri italiane, il numero più alto da quando vengono registrati questi dati, nel 2000. Un suicidio ogni 5 giorni. Il sovraffollamento è alle stelle, la mancanza di speranza che porta alla disperazione altissima. Sempre più numerosi i processi aperti per tortura e lesioni a carico di agenti della polizia penitenziaria, accusati di sevizie contro i detenuti a Ferrara, San Gimignano, Torino, Palermo, Milano, Melfi, Santa Maria Capua Vetere, Pavia, Monza, Ivrea. Un sistema di violenze diffuso, di fronte al quale la retorica delle poche mele marce non regge più.
Il 41 bis e la condanna a morte per Alfredo Cospito
«Fuori Alfredo dal 41 bis! Fuori tutti dal 41 bis!». Presente a Modena questa domenica anche la questione di Alfredo Cospito e la lotta che porta avanti il detenuto contro il 41-bis e l’ergastolo ostativo. Cospito è in sciopero della fame contro la sua detenzione al carcere duro dal 20 ottobre scorso. Il regime duro del 41-bis prevede regole durissime, finite nel mirino anche di istituzioni internazionali. La Corte Europea per i Diritti Umani (CEDU) ha stabilito che è in contrasto con tre articoli della Convenzione. Nel 2003 Amnesty International ha stabilito che il 41-bis equivale a un trattamento del prigioniero “crudele, inumano e degradante”. Celle minuscole, censura della posta, impossibilità di leggere e scrivere ciò che si desidera; ore di socialità ridotte al minimo, colloqui coi famigliari praticamente inesistenti. Le condizioni fisiche di Cospito sono sempre più critiche, e il rifiuto prima della classe dirigente e poi della Cassazione di declassarlo dal 41-bis ne ha di fatto sancito la condanna a morte. Cospito continua nel suo sciopero della fame, e continuano le iniziative in tutta Italia in sua solidarietà.
«Quando sentimmo dei morti di Modena, nessuno credette alla storia delle overdose. Perché intorno a noi vedevamo cos’era la repressione», dice Nicoletta Dosio alla manifestazione di domenica. Lei era in carcere nei mesi successivi per la lotta No Tav. Alfredo Cospito è condannato per strage, e rischia l’ergastolo in 41-bis per degli ordigni che esplosero di notte non uccidendo né ferendo nessuno. Mentre delle 13 morti nelle carceri italiane del 2020, di quelle morti di stato, così come delle continue morti nel Mediterraneo, non se ne parla già più.
[di Monica Cillerai]