martedì 5 Novembre 2024

Nel silenzio dei media gli agricoltori olandesi tornano a bloccare il Paese

Nonostante la partecipazione di migliaia di manifestanti, sono passate piuttosto sotto silenzio le proteste degli agricoltori belgi e olandesi contro il cosiddetto “piano azoto” proposto da Bruxelles e dal governo olandese di Mark Rutte. Le proteste si sono svolte prima in Belgio, a Bruxelles e, successivamente, in Olanda: in entrambi i casi si è registrata la partecipazione di migliaia e migliaia di dimostranti. In Olanda si stima che l’11 marzo 10.000 persone abbiano sfilato per il centro de L’Aia, la città dove ha sede il governo olandese, per opporsi ad una misura che, qualora venisse approvata dal governo, prevederebbe l’acuirsi degli oneri finanziari per tutti gli agricoltori e allevatori che fanno ricorso a fertilizzanti e reflussi zootecnici contenenti azoto, quest’ultimo ritenuto tra i principali responsabili delle emissioni di gas serra. La misura rientra nel piano più ampio sostenuto da Bruxelles di riduzione del 50% delle emissioni entro il 2030, come previsto dal Green Deal europeo. Tuttavia, i costi della cosiddetta transizione ecologica sono addossati interamente ai lavoratori, alle industrie e, in questo caso, agli agricoltori che hanno deciso di esprimere seccamente la loro contrarietà a una norma che potrebbe portare al collasso il settore agricolo.

Le proteste sono state organizzate dalle sigle sindacali Farmers Defence Force (Fdf) e Samen voor Nederland (Insieme per i Paesi Bassi) a pochi giorni dalle elezioni regionali: numerosi trattoristi hanno paralizzato il traffico al di fuori delle principali città del Paese, visto che i centri storici erano stati blindati dalle forze dell’ordine, per evitare gli ingorghi che iniziative simili avevano causato in Belgio. Per esprimere il loro dissenso i manifestanti si sono presentati con la bandiera nazionale capovolta e con scritte critiche esposte sui trattori e sui cartelloni, come ad esempio «niente agricoltori, niente cibo». Alcuni allevatori olandesi sono preoccupati dalla possibilità di incappare in espropri forzati di terreno, in seguito a misure che porterebbero alla riduzione delle mandrie in campo aperto e agli allevamenti nel Paese che è il primo esportatore di carne in Unione europea.

Il piano azoto risale al 2019, quando la Corte dei conti olandesi ha stabilito che, per ottemperare il diritto comunitario, non era più possibile compensare le emissioni in eccesso tramite importi economici: le attività andavano stoppate o comunque ridotto drasticamente il loro impatto. Il Memorandum per le aree rurali prevede la riduzione di azoto e ammoniaca dal 12 al 70% a seconda della zona: per le zone agricole sono previsti gli obiettivi più alti proprio perché qui i liquami prodotti dal bestiame – feci e urine – aumenterebbero di molto i livelli di inquinamento. Tuttavia, con le metodologie agricole attuali, la riduzione dell’uso di fertilizzanti nella resa dei terreni farebbe diventare l’attività antieconomica se non insostenibile, portando alla chiusura di molte aziende.

Il rischio è che le stesse misure possano venire adottate nel prossimo futuro anche nel resto d’Europa come parte del piano europeo agroalimentare chiamato “Farm to Fork” che prevede, tra le varie misure, la destinazione del 25% dei terreni agricoli all’agricoltura biologica e la riduzione del 20% dei concimi chimici. A ciò si aggiunge anche il fatto che la UE pretende che l’Italia riduca del 4% la superficie di terreni coltivati per lasciarli a riposo. Il tutto si traduce in una riduzione della produzione e, di conseguenza, nell’aumento della dipendenza alimentare dall’estero e in una inflazione dei beni alimentari dovuta alla scarsità di offerta e a una domanda, invece, costante. Contro il piano agroalimentare europeo si sta opponendo il consigliere delegato di Filiera Italia Luigi Scordamaglia che, in una recente intervista, ha affermato che «non c’è mai stata una coincidenza, e in così poco tempo, di proposte legislative mirate a smantellare la produzione agroalimentare europea».

Inoltre, le proposte della Commissione europea e del governo olandese in ambito agricolo non sono prive di conflitti d’interesse: alcuni esponenti della Ue come Frans Timmermans – vicepresidente della Commissione – sono, infatti, in stretti rapporti con le multinazionali della chimica e della nutrizione che puntano, ad esempio, a investire sul cibo sintetico. Dietro le iniziative per contrastare il degrado ambientale vi sono, dunque, interessi di diversa natura che non sempre coincidono con le finalità dichiarate. In ogni caso, il peso economico e sociale della “transizione” ricade interamente sui lavoratori e sulle fasce sociali più deboli, rendendola insostenibile per produttori e consumatori e rischiando di portare al collasso un settore fondamentale come quello agroalimentare. I paesi del nord Europa potrebbero essere solo i primi di un processo più ampio che coinvolgerebbe l’intero Vecchio continente in base alle direttive di Bruxelles.

[di Giorgia Audiello]

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1 commento

  1. Mi sembra strano che il nord europa sacrifichi cosi’ duramente la propria economia agricola intensiva… non vorrei che tra breve si convertano, con buona pace degli allevatori, alla produzione di proteine da insetti. Per quanto riguarda l’Italia, e direi anche il resto d’Europa, sarebbe meglio smetterla di coltivare terra per produrre biofuel, e concentrarsi invece sul cibo, visto che lo importiamo dall’estero, e magari pure piu’ inquinato (vedi per esempio il grano coltivato “sotto le bombe” in Ucraina, nonche’ gli agrumi del nord Africa per quanto attiene ai pesticidi…).

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