Le barene sono terreni di forma tabulare tipici delle lagune, periodicamente sommersi dalle maree. Ma, quando visibili, questi bassi isolotti mostrano un manto verde ricoperto da vegetazione erbacea, in apparenza folto e rigoglioso. E così è, almeno fino a quando non ci si cammina sopra. In un video realizzato da Gherardo Toso, co-fondatore e vicedirettore dell’organizzazione no-profit Venice Lagoon Plastic Free, si vede uno scorcio della laguna Nord di Venezia, in particolare un tratto di barena compresa tra Burano e Torcello, dove staziona spesso una colonia di fenicotteri – oltre a molte altre specie endemiche di volatili. Anche in questo caso, come ci spiega Toso «la barena appare pulita ed incontaminata. In realtà, facendo pochi passi ci si rende immediatamente conto che sotto lo strato d’erba esiste uno substrato di bottiglie di plastica che si estende per centinaia di metri quadri».
E se, «in generale il problema della plastica esiste da quando esiste la plastica, soprattutto quella monouso», Toso ci dice che quella delle barene è il risultato di due fattori che si intrecciano tra loro: attività antropica e gestione dei rifiuti urbani della città di Venezia. Quest’ultima, principalmente per via della sua conformazione geografica, ha un sistema da dirigere piuttosto complicato. Tant’è che «nonostante gli sforzi fatti dalla governance, il problema continua ad esistere».
Così le barene si riempiono di rifiuti in plastica, di diversa natura, generati dai flussi turistici che impattano l’ambiente veneziano ogni anno, oltre all’attività di pesca e miticoltura sul litorale. «Più associazioni o singoli privati agiscono in favore dell’ambiente raccogliendo le plastiche abbandonate nell’ambiente, e meglio è!», spiega Toso, evidenziando l’importanza del contributo di tutti alla risoluzione del problema. Però, al tempo stesso, «bisogna fare molta attenzione a dove, come e quando lo si fa. La nostra laguna è un microsistema faunistico ed ecologico unico e molto delicato. Migliaia di tipi di uccelli (molti dei quali protetti) nidificano in particolari zone ed in particolari periodi dell’anno, spesso le uova sono nascoste proprio sotto l’erba che rischiamo di calpestare se camminiamo in barena. L’anno scorso sulla spiaggia di Jesolo sono state trovate delle uova di tartaruga marina: un caso rarissimo, da proteggere». Motivo per cui «consigliamo sempre di partecipare alle azioni di clean-up organizzate da enti o associazioni accreditate e sensibili (come WWF, Legambiente, LIPU), anziché agire in autonomia, anche se mossi dalle migliori intenzioni». Il rischio è, infatti, di arrecare più danni che benefici.
L’associazione di cui Toso fa parte effettua periodicamente dei monitoraggi – sia in laguna che sui litorali – in merito all’inquinamento da plastiche e microplastiche e da altri derivati chimici nelle acque di Venezia, in collaborazione con istituti di formazione e centri di ricerca nazionali ed internazionali: è una delle poche accreditate all’inserimento dei dati raccolti all’interno del database Europeo EMODNET, nato per affrontare le minacce più urgenti per l’ambiente marino. Fra le sue attività, anche la Venice Lagoon Plastic Free organizza clean-up decentrati su larga scala nella città di Venezia e della sua laguna, comprese le municipalità limitrofe di terraferma, con lo scopo di rimuovere i rifiuti marini.
Sono attività che in realtà negli anni si sono diffuse in tutta Italia, proprio per via dell’urgenza di arginare il fenomeno. Secondo l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, nel triennio 2015-2017, la media dei rifiuti marini totali spiaggiati sui litorali italiani è stata di 415 rifiuti ogni 100 metri. Nel 2018 e nel 2019, 462 e 413 ogni 100 metri, rispettivamente. Le plastiche monouso continuano a figurare tra il rifiuto più frequente, rappresentando il 30% e 26% del totale dei rifiuti trovati nel 2018 e nel 2019.
[di Gloria Ferrari]