Con lo scoppio della pandemia i disturbi alimentari – quali l’anoressia, la bulimia nervosa e il disturbo da alimentazione incontrollata (binge eating) – sono cresciuti nettamente in Italia: è quanto si desume dai dati raccolti nell’ambito di un progetto finanziato dal Ministero della Salute e conclusosi a febbraio 2021, da cui è emerso un aumento di tali patologie di quasi il 40% rispetto al 2019. Come riportato dall’ISS (Istituto superiore di sanità) – che il 15 marzo in occasione della giornata dedicata ai disturbi del comportamento alimentare (DCA) ha illustrato i numeri – “nel primo semestre 2020 sono stati rilevati nei diversi flussi informativi 230.458 nuovi casi contro i 163.547 del primo semestre 2019”, mentre tra i casi già “in trattamento” e quelli nuovi sono stati assistiti “2.398.749 pazienti” nel 2020. Numeri preoccupanti, soprattutto se si considera che i dati “rivelano anche un ulteriore abbassamento dell’età di esordio“, con “il 30% della popolazione ammalata che “è sotto i 14 anni”. A soffrire del problema in maniera sempre maggiore, dunque, sono i più piccoli, che come specificato dal Ministero della Salute anche a soli 8 o 9 anni iniziano a fare i conti con i disturbi alimentari.
Dettagli di non poco conto, visto che le patologie in questione sono tutt’altro che irrilevanti. Lo stesso Ministero, infatti, precisa che “questi disturbi, se non diagnosticati e trattati precocemente, aumentano il rischio di complicanze organiche rilevanti a carico di tutti gli organi e apparati dell’organismo”, comportando un “rischio di cronicizzazione e anche, nei casi più severi, di mortalità, in particolare per quanto riguarda l’anoressia”. L’importante, quindi, è intervenire subito: peccato che dai dati sia emersa proprio una “difficoltà di accesso alle cure in molte Regioni italiane, con gravi conseguenze sulla prognosi”. Non sarà un caso, quindi, se l’ISS specifica che il “carico assistenziale globale” rappresenta “un dato sottostimato poiché esiste in questa patologia una grande quota di pazienti che non arriva alle cure”. E tra quelli in cura, invece, molti potrebbero anche aver chiesto aiuto in ritardo proprio a causa della pandemia. «Durante la pandemia le persone che soffrivano di un disturbo alimentare si sono aggravate», ha infatti affermato la Responsabile Rete Disturbi Comportamento Alimentare Usl 1 dell’Umbria Laura Dalla Ragione, aggiungendo che «magari hanno impiegato mesi per trovare il coraggio di chiedere aiuto o hanno aspettato mesi per un ricovero, aumentando il rischio di cronicizzazione o ricaduta nel disturbo».
Attualmente, poi, gli accessi al pronto soccorso sembrano essere sempre di più, quantomeno da parte dei più piccoli. L’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, infatti, non solo sottolinea che negli ultimi due anni (2021-2022) sono “raddoppiati” gli accessi per disturbi del comportamento alimentare al suo pronto soccorso, ma altresì che sono “aumentati di oltre il 50% anche i ricoveri, passati dai 180 casi pre-pandemia (2019) a quasi 300 casi nell’ultimo anno”. Un trend che secondo l’Ospedale confermerebbe l’aumento del disagio giovanile durante l’emergenza sanitaria, con «il lockdown prima e le restrizioni della socialità dopo che hanno fatto da detonatore per un malessere che era spesso già presente, a volte in maniera meno manifesta a volte di più». A spiegarlo la dottoressa Valeria Zanna, responsabile di anoressia e disturbi alimentari del Bambino Gesù, secondo cui «il Covid e la quarantena sono stati sicuramente fattori di accelerazione, ma molte di queste ragazze e ragazzi erano già allenati a mangiare di nascosto, a vomitare di nascosto, a vivere di nascosto».
Un dettaglio che non sorprende poi molto, essendo il fenomeno da tempo presente largamente in Italia, dove si stima che i disturbi del comportamento alimentare coinvolgano circa tre milioni di persone. Nel mondo invece il fenomeno costituisce la seconda causa di morte per le ragazze tra i 12 e i 25 anni, le quali del resto – nonostante il numero dei maschi che si ammalano sia in aumento – anche in Italia sembrano molto toccate dal problema: secondo quanto riportato dall’ISS, infatti, dei quasi 9000 utenti in carico al 65% dei centri dedicati alla cura dei DCA censiti il 90% sono di genere femminile, con il 58% degli utenti che ha tra 13 e 25 anni ed il 7% meno di 12 anni. Dati, questi ultimi, ottenuti proprio grazie al censimento dei centri, in base al quale attualmente sono 126 le strutture sparse sul territorio nazionale, di cui 112 pubbliche e 14 appartenenti al settore del privato accreditato. Evidentemente, però, esse non bastano ad arginare efficacemente il problema: a novembre 2022, infatti, il Ministero della Salute ha dato mandato all’ISS di avviare il censimento delle associazioni che operano per aiutare i pazienti ed i loro familiari, così da creare una “rete di protezione per contrastare tali disturbi e rispondere all’esigenza di intercettare sempre più precocemente i bisogni del territorio”. L’auspicio, dunque, è che ciò venga fatto il prima possibile.
[di Raffaele De Luca]