Nonostante le numerose azioni messe in campo nelle ultime settimane – tra cui presidi davanti al Ministero del petrolio e ad altri edifici governativi di Oslo – gli attivisti del popolo indigeno Sámi al momento si dovranno – almeno per ora – accontentare solo delle scuse verbali formulate agli inizi di marzo dal Governo norvegese. Terje Aasland, Ministro dell’Energia, ha infatti riconosciuto di aver deturpato con la costruzione nel distretto di Fosen del più grande parco eolico onshore d’Europa da 151 turbine, i territori e i diritti degli indigeni, privandoli fondamentalmente di ciò di cui principalmente vivono: la terra. Ma, al momento, e a parte le scuse, non esiste un accordo concreto per risolvere la controversia (né l’ipotesi di rimozione, come chiedono gli indigeni e come stabilito da una sentenza).
È dai primi anni 2000 che la Norvegia cerca di ridurre la sua dipendenza da petrolio e gas aumentando la produzione di energia rinnovabile, principalmente sfruttando la forza del vento. L’intento della nazione, però, non è solo quello di soddisfare la crescente domanda nazionale, ma anche quello di vendere il proprio ‘prodotto’ ai mercati europei, meno forniti di energia pulita. Gli ambientalisti, tuttavia, non credono che tale processo, piuttosto ambizioso, possa ritenersi per davvero ‘green’, soprattutto per via dei metodi che si intendono applicare. Le autorità norvegesi vogliono infatti elettrificare gli impianti petroliferi e del gas offshore presenti sul territorio (quindi non eliminarli), collegandoli ai parchi eolici: è evidente che questo aumenterebbe in modo significativo il consumo nazionale di elettricità e richiederebbe un’ulteriore – e maggiore – installazione di parchi eolici (per la cui costruzione è prevista la creazione di nuove strade e grandi impianti industriali).
Questi ultimi sono già situati in larga parte (e secondo i piani lo saranno anche i successivi) a Sápmi, territorio ancestrale e selvaggio abitato dal popolo indigeno Sámi, che basa il proprio sostentamento sul suolo e sull’allevamento di renne. La presenza di parchi eolici, però, impedisce ad esempio l’accesso ai pascoli e compromette gli spostamenti degli animali. Gli indigeni si battono da anni contro le infrastrutture umane, le strade e le reti elettriche, definendo quello che sta facendo la Norvegia nei loro confronti un ‘colonialismo verde’, cioè un accaparramento delle terre e l’estrazione delle sue risorse giustificato dal Governo come azione necessaria per la lotta al cambiamento climatico.
Una pratica che prosegue nonostante nell’ottobre 2021, con una sentenza storica, la Corte Suprema della Norvegia si sia espressa a favore dei diritti delle popolazioni indigene. Undici giudici hanno infatti dichiarato che i parchi eolici di Roan e Storheia, costruiti nella penisola di Fosen, nella Norvegia centrale, violano i diritti degli allevatori di renne Sámi, garantiti per legge dal Patto internazionale sui diritti civili e politici, e che per questo le licenze concesse per la loro costruzione sono nulle.
Al momento però il Governo norvegese, che è azionista di maggioranza della Fosen Vind, la società che possiede e gestisce i progetti, non sembra disposto a rimuoverli. Una presa di posizione che – nonostante le recenti scuse – potrebbe definitivamente incrinare i rapporti tra il popolo Sámi e l’Amministrazione nazionale, che da sempre si vanta di tutelare i diritti degli indigeni e ad oggi invece sembra intenzionata a rincorrere la transizione verde senza premurarsi della loro sopravvivenza.
Di certo, una comunità in lotta da decenni come quella dei Sámi non si arrenderà facilmente. Anche Amnesty International si è unita alla loro lotta, lanciando una petizione. «La gente non capisce perché stiamo combattendo contro l’energia eolica, che dovrebbe essere così “verde”. Ma non riesco a vedere cosa ci sia di “verde” nel distruggere la natura e mettere da parte un popolo che usa la natura in modo sostenibile» e che affronta già le conseguenze dei cambiamenti climatici che non ha causato, ha commentato Maja Kristine Jåma, rappresentanti Sámi.
[di Gloria Ferrari]
Beh c’è di peggio. Avete presente i Benetton? Sì quelli che fanno la pubblicità sentimentale con i bambini bianchi,neri e gialli!! Bene in Patagonia hanno comprato migliaia di ettari di terreni e BUTTATO FUORI i Mapuche, tribù indigena originaria di quei luoghi che adesso ha parecchie difficoltà a soprravivere. Poi hanno fatto un museo dei Mapuche. In pratica arrivo a casa tua e ti butto fuori:però jnon preoccuparti tengo la tua foto sul comodino!!