Sono cresciuto frequentando le jam underground di musica Hip Hop che negli anni ’90 si tenevano nei centri sociali, nel migliore dei casi in un parco o in casa di un amico talmente pazzo da metterla a disposizione. Nelle rare occasioni in cui il comune lasciava ai writers un muro da dipingere, attorno ne nasceva un party che vedeva uniti Dj, rappers, b-boyz e fly-girls. La voglia di esprimersi è il fulcro su cui fa leva la cultura Hip Hop.
C’era chi voleva solo ballare, chi produceva musica, chi pensava solo alle sue rime e non vedeva l’ora di poterle sputare in un mic, chi aspettava solo di poter spruzzare il suo ultimo sketch su un muro con le bombolette. Ogni forma artistica trovava la sua espressione in questa cultura perché la regola fondamentale alla base apriva le porte a tutti, soprattutto a chi nella società occupava i posti in fondo al bus.
“Non hai soldi? Nessuno ti dà credibilità? Ingegnati e crea con i pochi mezzi che hai tra le mani”.
E così divoravo i dischi jazz di mio padre in cerca di una porzione musicale da rubare, campionare, mettere in loop e su cui poter scrivere le mie rime. Rime… un po’ pretenzioso. Avevo sedici anni e i leader di questo movimento culturale ne avevano almeno dieci più di me. Immerso nella mia semplice vita provinciale ho scritto un brano per una ragazza che mi piaceva, La mia coccinella. Alle orecchie dei cultori suonava come la rovina del Rap Italiano ma alle radio piaceva e, complice Albertino di Radio Deejay, in un paio di mesi è schizzata in alta rotazione su tutte le radio. Il mio rap? Commerciale!
La musica è un linguaggio universale ma i suoni della base e le parole che scegli in un testo determinano il pubblico che sarà in grado di apprezzarle. Un gusto musicale molto ricercato è un linguaggio preciso che viene colto solo da chi comprende i mondi in cui ti stai muovendo. Un linguaggio semplice e slegato dalle rigide regole di un genere musicale è più comprensibile al grande pubblico. É una legge matematica che ha chiaro in mente chi intenzionalmente coltiva un genere di nicchia. Per fortuna un vero Artista ha poco a che vedere con la matematica ed è nelle sperimentazioni più sentite che si scrive la musica del futuro. Da sempre la musica Pop fa riferimento a nuove mode, ne annacqua un po’ i suoni, scarnifica gli argomenti e la rende digeribile alla massa. Ci si può dare un tono dicendo che la musica in classifica fa schifo, ma in realtà fa solo riferimento a regole matematiche oggettive. La qualità di una Top Ten è direttamente proporzionale alla cultura musicale di un paese.
È da quando ho diciannove anni che mi muovo tra ambienti undergound e le cime delle classifiche mainstream ma il vero switch, nei confronti del rap, è avvenuto quando ho lavorato con gli assistenti sociali all’interno di istituti penitenziari e associazioni che operano nei quartieri più difficili delle città. Non contava più la qualità della musica che ascoltavo, basata sulle mie orecchie da intenditore di ‘sta cippa, lì ti scontravi con la versione più dura della vita. Grazie a quelle esperienze ho potuto cogliere il vero potere e la forza del rap. Un linguaggio accessibile a tutti. Se un ragazzo apre uno spiraglio, scrivendo rime, ballando, disegnando o producendo musica, ti sta offrendo le chiavi per conoscerlo. E soprattutto, spesso, suona forte una richiesta di aiuto. Tutt’a un tratto i miei studi sui testi, la scelta delle parole, il suono della voce, la respirazione, hanno acquistato un significato nuovo. Da un respiro, da un suono, da un movimento puoi cogliere lati del carattere che le parole non esprimono. Quando un ragazzo in free-style ti sta raccontando qualcosa che non direbbe al suo miglior amico sta aprendo porte, fino ad allora, chiuse a doppia mandata. Uno sfogo che lo aiuterà a risolvere problematiche ben più profonde e una manna dal cielo per gli eroi (leggi assistenti sociali) che gli sono vicini in questo percorso. Il free-style è un mezzo fantastico, sia nella danza che nelle rime improvvisate. Non ti dà modo di pensare. Tira fuori parti di te che non conosci. É il tuo inconscio che si racconta, è psico-terapia applicata.
Ad oggi ho messo un po’ da parte la sterile gara a chi è più bravo. Chi ha le conoscenze per riconoscere un grande musicista si gode i suoi miti, che siano riconosciuti dal grande pubblico o no, conta poco. Se un ragazzo chiuso dietro le sbarre, che siano di una prigione o della sua camera, che siano fisiche o mentali, fa di tutto per uscirne, è un traguardo che ha tutt’altro peso; che ai cultori la sua musica piaccia o no, conta poco, opinione personale. Se una generazione si racconta con la violenza crescente che stiamo vivendo è un grido disperato di aiuto. Non si tratta di difendere a tutti i costi la Trap, il Jersey Drill o come si chiamerà in futuro, è semplicemente buon senso.
“Peace, Love, Unity & havin’ Fun!” è lo slogan su cui si basa l’Hip Hop. Quattro concetti che se applicati ti salvano la vita.
“L’Hip Hop è morto!” sento dire… eppure ha lasciato dei valori così profondamente radicati in me da sentirne ancora oggi un’importante e positiva influenza in tante scelte che faccio. “L’Hip Hop è eterno!” come insegna KRS-One.
[di Massimiliano Cellamaro, in arte Tormento]