giovedì 21 Novembre 2024

L’UE approva lo stop alle auto a combustibili fossili, l’Italia rimane isolata

Dopo che alcuni Stati membri – tra cui Italia, Germania e Polonia – avevano posto il veto in sede europea sullo stop ai motori termici a partire dal 2035, ieri i ministri dell’Energia dei Paesi Ue hanno trovato un accordo, dando il via libera definitivo alla fine della vendita di auto a benzina e diesel dal 2035. Un accordo che ha visto la sostanziale sconfitta dell’Italia, messa all’angolo dalla Germania, che è riuscita a far prevalere i suoi interessi a scapito di quelli di Roma. In un primo momento, infatti, Berlino aveva frenato sull’approvazione del regolamento, insistendo per far approvare la vendita di autovetture alimentate con carburanti sintetici (e-fuel) sui quali le aziende tedesche stanno investendo da anni. Roma invece si era opposta perché voleva che tra i carburanti verdi venissero inseriti anche i biocarburanti – così come previsto nella deroga per i carburanti neutri decretata dal Considerando 11 del Regolamento. Alla fine la Germania ha ottenuto il proprio scopo e ha dato via libera all’accordo, mentre i biocarburanti sono rimasti fuori dall’accordo, lasciando l’Italia a bocca asciutta.

Il regolamento, colonna del piano “Fit for 55” della Commissione europea, era stato presentato dall’esecutivo europeo il 14 luglio 2021. Il 14 febbraio il Parlamento ha dato il suo via libera definitivo e il 7 marzo doveva arrivare l’approvazione finale del Consiglio, sennonché il 28 febbraio l’Italia ha votato contro il regolamento insieme alla Germania. Tuttavia, quest’ultima, è riuscita a strappare alla Commissione l’introduzione dei carburanti sintetici, pena la bocciatura dell’intero pacchetto. Bruxelles, senza modificare il regolamento, ha quindi promesso una dichiarazione allegata per un netto riconoscimento dei carburanti sintetici e una proposta legislativa – con un atto delegato – che arriverà nell’autunno del 2024. L’intesa è finalizzata, dunque, a garantire che anche dopo il 2035 possano essere commercializzate autovetture a motore termico, a patto però che utilizzino solo e-fuel (electrofuels), ossia carburanti sintetici a impatto zero al posto di quelli tradizionali.

Per quanto riguarda il processo tecnico di produzione degli electrofuels, esso consiste nell’elettrolisi dell’acqua, da eseguire utilizzando esclusivamente energia proveniente da fonti rinnovabili, al fine di ottenere idrogeno. Quest’ultimo viene poi miscelato con la CO2 catturata dall’aria, consentendo la realizzazione di un combustibile liquido adatto ad essere bruciato dentro i motori a scoppio. Anche il consumo di e-fuels, dunque, produce CO2 che però, dal punto di vista della neutralità climatica, viene compensato da quello che deve essere catturato e riutilizzato per la loro produzione. D’altro canto, anche i carburanti sintetici pretesi dalla Germania presentano criticità, non solo in termini di costi elevati, ma anche dal punto di vista dell’impatto ambientale. Se è vero, infatti, che consentono di eliminare le emissioni di particolato e di azzerare quasi interamente quelle di anidride carbonica, essi sono molto impattanti dal punto di vista idrico: per ottenere un litro di efuel, infatti, sono necessari due litri d’acqua e, secondo alcuni studi, il suo costo finale attuale arriverebbe a dieci euro al litro. Costo che, secondo i fautori della tecnologia, potrebbe essere ridotto grazie alle economie di scala. Tuttavia, secondo Markus Duesmann, patron dell’Audi (gruppo Volkswagen), i carburanti sintetici «non sono destinati a giocare, nel medio termine, un ruolo rilevante nel settore delle auto più vendute», ma saranno al più utilizzati per le auto di lusso.

Per l’Italia, l’esclusione dei biocarburanti è una sconfitta, in quanto negli anni la Penisola ha sviluppato in quest’ambito competenze e investimenti che potrebbero essere sfruttati nel contesto della transizione energetica a vantaggio dell’economia nazionale. Diversamente, salvo una completa e costosissima riconversione dell’intero comparto, il settore automobilistico potrebbe stentare a sopravvivere. Quest’ultimo rappresenta il 13% del Pil del Paese e fornisce 250.000 posti di lavoro: secondo la ricerca Uilm-Està la transizione ecologica impatterà sul settore mettendo «a rischio fino a 120mila lavoratori», perché se un autoveicolo tradizionale con motore endotermico è composto da 7000 componenti, uno elettrico arriva ad un massimo di 3.500/4.000, per cui si prevede che «il 40-45% degli occupati italiani, sarà impattato dal passaggio all’elettrico». Da parte sua, il governo ha dichiarato la battaglia per i biocarburanti ancora aperta: «la partita sui biocarburanti non è affatto persa. Stiamo dimostrando come anche i biocarburanti rispettino le emissioni zero: se una tecnologia risponde a quei target che ci siamo fissati, quella tecnologia può essere utilizzata», ha affermato Giorgia Meloni al termine dell’ultimo Consiglio europeo.

La vicenda inerente al regolamento per il passaggio all’auto elettrica mostra lo scarso peso di Roma nelle sedi europee a causa della leggerezza con cui per anni partiti e governi hanno eletto i rappresentanti del Parlamento Ue, ma anche come il disinteresse dei maggiori gruppi industriali nazionali dell’automotive incida sul settore. La famiglia Agnelli, ad esempio, da tempo ha trasferito all’estero sia la produzione che la sede legale, abbandonando il Paese al suo destino anche in sede Ue non avendo alcun interesse da difendere sul territorio. Dal punto di vista della produzione, trasferire le fabbriche all’estero è risultato vantaggioso per abbattere i costi, mentre la holding è stata trasferita in Olanda per via della minore pressione fiscale. In ogni caso, il risultato è che in sede comunitaria l’Italia non è in grado di difendere i suoi interessi a tutto vantaggio della Germania, grazie anche e soprattutto alla complicità della classe dirigente che per anni ha permesso il consolidamento di questo meccanismo.

[di Giorgia Audiello]

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