Scioperare costa e lo sanno bene in Francia, dove sono presenti le cosiddette “casse di solidarietà” ai manifestanti. Si tratta di un meccanismo di appartenenza e rivendicazione politico-sociale, attraverso cui chi non può permettersi di interrompere il proprio lavoro per scendere in piazza finanzia con donazioni volontarie gli scioperanti. La “cassa di solidarietà agli scioperi dei sindacati” lanciata lo scorso 10 gennaio, quando le proteste contro la riforma delle pensioni stavano per entrare nel vivo, ha già superato i 3 milioni di euro. Subito dopo il colpo di mano con cui il presidente francese Emmanuel Macron e la prima ministra Élisabeth Borne hanno approvato la riforma senza passare dal Parlamento, la campagna ha vissuto un’impennata di consensi e donazioni.
Gli ostacoli alla manifestazione diretta possono essere diversi, soprattutto in contesti simili a quello francese, dove le proteste sono generalizzate e non circoscritte a precisi giorni della settimana (solitamente sabato e domenica per creare meno problemi ai lavoratori). Si pensi ad esempio alle limitazioni gestionali o statutarie, relative ai casi di garanzia minima in vari servizi pubblici. In Francia si è attivato però un meccanismo non scontato, dove chi incontra ostacoli alla partecipazione diretta li aggira supportando economicamente i delegati della loro insoddisfazione. Centinaia di migliaia di dipendenti considerano tale appoggio finanziario come l’unica alternativa valida alla presenza nelle strade.
Nelle ultime settimane, in particolare dopo che l’aumento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni è diventato legge, la cassa di solidarietà ha registrato centinaia di migliaia di euro di nuove donazioni. A questa iniziativa si aggiungono poi le casse locali o di categoria. La pratica è sbarcata anche nel mondo politico: nel 2022 il partito di Jean-Luc Mélenchon (La France insoumise) si è dotato di una propria cassa e da allora ha raccolto oltre 735mila euro.
Il meccanismo delle casse di solidarietà agli scioperanti affonda le radici nei primi decenni del XIX Secolo. In un contesto segnato dall’assenza di protezione sociale, le prime organizzazioni di lavoratori iniziarono a mettere in comune le risorse per garantire ai propri iscritti un’indennità in caso di malattia, disoccupazione o appunto sciopero. La pratica ha superato le restrizioni e le eclissi a cui le autorità avrebbero voluto sottoporla negli anni, visto il supporto fornito ai lavoratori durante le proteste di lungo periodo. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, lo sciopero in Francia ha subito due trasformazioni: se da un lato è stato riconosciuto a livello costituzionale, dall’altro è finito nel vortice della compressione, vedendosi ridotta la sua durata media a un giorno. La cassa di solidarietà ha perso così una parte della propria forza, attivandosi in poche occasioni, come i grandi scioperi dei minatori del 1948 e del 1963. Gli anni ‘70 hanno invece invertito la tendenza, rendendo fondamentale il ruolo della solidarietà finanziaria tra i cittadini. Si pensi al supporto per i lunghi scioperi del Joint francese (1972), del LIP (1973) o del Parisien Libéré (1975). Ha fatto poi seguito, tra gli anni ‘80 e gli anni ‘90, una lunga fase di flessione, avallata anche dal declino dei partiti di massa e dei sindacati.
L’avvento dell’era digitale ha servito un inatteso assist al meccanismo delle casse di solidarietà agli scioperanti, facili da trovare e da supportare in rete con transazioni istantanee. La semplicità però non basta. Trovata la macchina, è stato necessario individuare il carburante: la presa di coscienza da parte dei lavoratori, esauritasi proprio sul finire degli anni ‘70 in seguito alla lotta per i diritti civili, sociali ed economici. Crisi finanziarie, perdita del potere d’acquisto, attenzione alla salute mentale oltre che fisica, sgretolamento della retorica sulla necessità di “fare carriera” in fretta e a tutti i costi sono solo alcune delle lenti attraverso cui guardare il rilancio delle casse di solidarietà e il risveglio del popolo francese.
[di Salvatore Toscano]
La fratellanza, oltre che la libertà, è scritta nel genoma francese. Molto meno in quello italiano.
Spero non si affidino a piattaforme come change.org che in Canada l’anno scorso è stata un fallimento.