L’attenzione dedicata dai media mainstream alla questione ambientale e climatica diminuisce di pari passo alla crescita delle inserzioni pubblicitarie delle industrie fossili: è quanto si evince da uno studio realizzato dall’Osservatorio di Pavia – un istituto di ricerca specializzato nell’analisi della comunicazione – per l’organizzazione Greenpeace, secondo cui è stata tramite lo stesso confermata la “pericolosa influenza dell’industria dei combustibili fossili sul mondo dell’informazione”. I risultati della ricerca – che completa il monitoraggio periodico dell’organizzazione sulla copertura mediatica dei cambiamenti climatici realizzata nel 2022 – del resto mostrano non solo che nell’ultima parte dell’anno il numero di articoli pubblicati dai principali quotidiani italiani in cui si parla esplicitamente di crisi climatica è diminuito rispetto al quadrimestre precedente, attestandosi ad una media di 2,5 articoli al giorno, ma anche che il trattamento riservato all’industria dei combustibili fossili ed alle aziende dell’industria automobilistica, aeree e crocieristiche è ben differente. Con una media di oltre 6 pubblicità a settimana, ossia quasi una al giorno e circa il doppio rispetto al quadrimestre precedente, lo spazio offerto dai giornali alle loro inserzioni è infatti aumentato sensibilmente.
Dati che ovviamente non fanno onore ai media al centro dello studio, che ha analizzato il modo in cui da settembre a dicembre 2022 la crisi climatica è stata raccontata dai telegiornali serali di Rai, Mediaset e La7, da un campione di programmi televisivi di approfondimento, e dai cinque quotidiani nazionali più diffusi (Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa). Di questi a ben figurare è stato solo Avvenire, che affermandosi come l’unico a superare la sufficienza (3,4 punti assegnati su 5) ha conquistato il primo posto in classifica. Successivamente troviamo Il Sole 24 Ore (2,6) e La Stampa (2,4 ) – i cui punteggi vengono definiti “scarsi” da Greenpeace – mentre tra i bocciati figurano il Corriere della Sera (2,2) e la Repubblica (2,0). Numeri complessivamente non entusiasmanti, anche poiché tra i temi considerati vi era non solo lo spazio concesso alla crisi climatica ed alle pubblicità delle aziende inquinanti ma altresì la voce riservata alle stesse, per la quale i risultati sembrano ben poco rassicuranti. L’analisi dei soggetti che hanno più voce nel racconto della crisi climatica, infatti, non ha fatto altro che confermare ulteriormente l’influenza del mondo economico sulla stampa, con il secondo posto occupato proprio dalle aziende (15%), che hanno superato associazioni ambientaliste (14%), esperti (10%) e politici e istituzioni nazionali (10%), piazzandosi dietro solo ai politici ed alle istituzioni internazionali (21%) in virtù della COP27.
Per quanto concerne la televisione, invece, si è verificato un lieve incremento della copertura offerta dai telegiornali di prima serata. Tuttavia c’è poco da esultare, siccome questi ultimi hanno comunque parlato di crisi climatica in meno del 3% delle notizie trasmesse. Andando nello specifico, poi, ad essersi distinti positivamente sono stati il TG1 e il TG3, affermatisi come quelli che hanno dedicato più spazio al problema a differenza del TG La7, ultimo con l’1,4% dei servizi trasmessi. La7 però si è piazzata ultima anche nella classifica dei programmi televisivi di approfondimento, con le sue trasmissioni L’Aria che tira ed Otto e mezzo in fondo alla classifica. Unomattina di Rai1, invece, si è affermata come la trasmissione più virtuosa, ma in generale lo spazio lasciato alla crisi climatica nei programmi televisivi di approfondimento (presente in 116 delle 450 puntate monitorate) è risultato in leggero calo rispetto al quadrimestre precedente.
“La scarsa attenzione al problema mostrata dai programmi di La7 rispecchia una linea editoriale che privilegia il racconto della politica, in cui la crisi climatica, come documentato anche durante l’ultima campagna elettorale, è un argomento assai trascurato”, ha dunque commentato Greenpeace, precisando però come il problema sia vasto e di fondamentale importanza. “Gli ultimi mesi del 2022 confermano la sconcertante indifferenza dei media e dei politici italiani nei confronti della più grave emergenza ambientale della nostra epoca”, ha sottolineato infatti l’organizzazione, aggiungendo che “tutto questo non cambierà finché i principali organi di informazione continueranno a dipendere dalle pubblicità delle aziende inquinanti e finché la classe politica preferirà assecondare gli interessi dell’industria dei combustibili fossili anziché quelli di cittadine e cittadini”.
[di Raffaele De Luca]