sabato 23 Novembre 2024

Brasile: il progetto della ferrovia della soia riparte tra le proteste indigene

La chiamano “EF-170 railway project”, ma é più nota come “progetto Ferrogrão”. Una linea ferroviaria progettata per trasportare la soia: questo il progetto teorizzato nel 2012 sotto il governo di centro-sinistra guidato da Dilma Rousseff, poi dichiarato come priorità assoluta dal successivo esecutivo Bolsonaro, poi bloccato e ora ripreso dal nuovo governo socialdemocratico guidato da Lula. Un progetto che è stato evidenziato nuovamente come priorità nazionale e il cui futuro sarà deciso dalla sessione plenaria della Corte nel maggio di quest’anno. 

Il Brasile è il secondo produttore ed esportatore di soia al mondo. Nel 2021, il paese ha prodotto quasi 135 milioni di tonnellate di soia, generando un reddito annuale di circa 48 miliardi di dollari. La linea ferroviaria teorizzata vuole ridurre i costi di trasporto tra i due stati per mandare il prodotto all’estero, dove finisce la maggior quantità del materiale. Ma non tutti sono d’accordo. Sono almeno 23mila gli ettari di foresta pluviale che andrebbero distrutti a causa della deforestazione causata dal progetto ferroviario entro il 2035. Più della metà si troverebbero nel parco indigeno dello Xingu. Le popolazioni indigene presenti sul territorio hanno già chiamato alla resistenza

La ferrovia ha una traiettoria prevista di 933 chilometri (580 miglia) che si estende dalla città di Sinop, nello Stato del Mato Grosso, a Miritituba, nello Stato settentrionale del Pará, una regione strategica per il flusso di materie prime agroalimentari che ha già subito alti livelli di deforestazione. Da lì, attraverso il fiume Tapajos, un importante affluente del Rio delle Amazzoni, i carichi di soia da esportare in Cina e in altri paesi sarebbero diretti ai porti di Belem e Santana.

Il Progetto Ferrogrão è iniziato nel 2012, con il Programma di Investimento Logistico (PIL) del Governo Federale. Il suo disegno è stato progettato da un gruppo di aziende del settore cerealicolo composto da Amaggi, ADM, Bunge, Cargill, Dreyfus e Estação da Luz Participações (EDLP): sono i grandi produttori che si stanno muovendo per moltiplicare i loro guadagni, sempre – di fatto – a discapito delle popolazioni locali e dell’ambiente

La deforestazione totale e la conversione della vegetazione nativa in tutto il Brasile aumentano di anno in anno. L’espansione delle piantagioni di soia è il secondo più grande motore diretto della deforestazione, dopo l’espansione dei pascoli per l’allevamento del bestiame e la speculazione fondiaria. Da molto tempo i governi che si succedono, alleati dei grandi produttori, continuano a prediligere il commercio selvaggio e l’agricoltura intensiva, in nome di una ricchezza che vedono sempre pochi ma soprattutto la cui azione pregiudica stili di vita e pensiero di popolazioni che non vivono nel capitalismo. Il presidente attuale Lula sembrava erigersi difensore dei popoli indigeni e della foresta amazzonica, almeno in campagna elettorale. Se da un lato sta cercando di proteggere alcune popolazioni, dall’altro continua negli stessi progetti infrastrutturali ed economici che stanno portando alla devastazione dell’Amazzonia. Non è il solo progetto che l’amministrazione ha bollato come “prioritario” e che se attuato porterà a una maggiore deforestazione e allo scontro con le popolazioni indigene sul territorio. Anche l’asfaltatura della famosa “autostrada dell’Amazzonia”, la BR-319 che unirebbe Manaus al resto del paese è un progetto a cui Lula non é contrario, anzi. Reputa di grande utilità pubblica l’asfaltatura di quei 870 chilometri di strada che collega Manaus a Porto Velho, anche se le stime dicono che così si quintuplicherebbe la deforestazione da qui al 2030

Le conseguenze socio-ambientali della ferrovia della soia sono pesanti, come descrive uno studio dell’Università Fedeerale di Minais Gerais (UFMG). Infatti la linea ferroviaria taglierà il centro di alcuni territori indigeni del fiume Xingu, dividendo territori e comunità e deforestando migliaia di chilometri di Amazzonia; forte sarà anche l’impatto sul bacino del fiume Tapajós, un’altra area chiave per la protezione delle risorse idriche, delle foreste pluviali e delle popolazioni tradizionali della regione amazzonica. Il traffico pesante di veicoli che trasporterebbero soia nell’area circostante il parco “non solo aumenterà la pressione sulle aree forestali rese disponibili per l’agricoltura”, ma sicuramente “accelererà anche l’invasione, e di conseguenza la deforestazione, dei territori indigeni della regione“, secondo lo studio. 

“Voglio vedere se poseranno i binari sopra le nostre teste”, afferma Kokoba Mekrãgnotire, leader del villaggio indigeno di Mekrãgnoti Velho, del popolo Kayapó. Nell’agosto del 2020 il popolo Kayapo ha bloccato la strada BR-163 per rivendicare il proprio diritto alla consultazione previa sul progetto Ferrogrã, come assicura in teoria la costituzione brasiliana. I Kayapò non vogliono la ferrovia, che passerebbe per almeno 60 km sui loro territori. Temono un aumento della devastazione ambientale, un afflusso ancora maggiore di agricoltori speculatori, un maggior inquinamento dei fiumi e delle terre che non gli permetterebbe più di vivere come vogliono. 

Doto Takak-Ire, un altro leader indigeno del popolo Kayapó Mekrãgnoti e responsabile delle relazioni pubbliche dell’Instituto Kabu (un’organizzazione formata da 12 villaggi Kayapo), ha affermato che la mancanza di dialogo con i gruppi indigeni da parte dei funzionari pubblici ha caratterizzato l’intero processo Ferrogrão. «Se i giudici della Corte Suprema decideranno di portare avanti il processo di Ferrogrão, noi ci opporremo. Dovremo creare un villaggio proprio sul percorso del treno. Poi voglio vedere se poseranno i binari sopra le nostre teste», ha detto Takak-Ire. Il leader Kayapó ha aggiunto che gli sforzi fino ad ora si sono concentrati sulla richiesta del diritto alla consultazione, sancito dalla Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), di cui il Brasile è firmatario, nei casi in cui i territori appartenenti alle popolazioni tradizionali sono interessati da opere come quelle del progetto Ferrogrão.

Il progetto è stato lanciato davvero nel 2017, e dall’inizio ci sono problemi con il processo di consultazione dei popoli indigeni abitanti delle terre interessate. Takak-Ire ha ricordato come le audizioni pubbliche siano state addirittura sospese dalle popolazioni indigene che non sono state consultate prima dello svolgimento degli eventi. Nel giugno dello stesso anno, i leader Kayapó avevano inviato una lettera al Ministero dei Trasporti per richiamare l’attenzione sui diritti indigeni sanciti e garantiti da questo quadro internazionale, che non erano ancora stati rispettati.

[Alexandre de Moraes, giudice della Corte Suprema brasiliana.]
Nel marzo 2021, Alexandre de Moraes, giudice della Corte Suprema brasiliana, ha concesso un’ingiunzione nel ricorso diretto di incostituzionalità presentato dal Partito Socialismo e Libertà; venne così sospeso un atto legislativo che proponeva la rimozione di 862 ettari dal Parco nazionale di Jamanxim, nei comuni di Itaituba e Trairão, nello Stato del Pará, per consentire il passaggio della linea ferroviaria Ferrogrão. Da allora, tutti i casi che riguardano la linea ferroviaria proposta sono stati paralizzati e lo saranno fino a quando il processo non sarà giudicato dalla Corte Suprema in sessione plenaria. Previsto per il 31 maggio, il referendum potrebbe sbloccare le cause in corso. Sono numerosi i progetti infrastrutturali nella regione. Tra questi, la costruzione di un terminal di trasbordo a Matupá, nel Mato Grosso, un ponte sul fiume Xingu e la pavimentazione di un tratto dell’autostrada MT-322 che corre vicino al confine settentrionale del Parco indigeno dello Xingu.

Secondo lo studio dell’UFMG, l’impatto della ferrovia deve essere calcolato nell’insieme dei progetti infrastrutturali che, uniti, rischiano di creare dani irreparabili all’ambiente e di essere gli assassini delle collettività autoctone della regione. Infatti secondi i calcoli le conseguenze dei progetti comporterebbero anche una riduzione delle precipitazioni annuali, che in alcune regioni sono già diminuite del 48%, con conseguenti rischi maggiori di  “una perdita incalcolabile di servizi ecosistemici e della ricca socio-biodiversità della regione”.

[di Monica Cillerai]

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