In Cile le comunità rurali si stanno ingegnando per sopravvivere ad una carenza idrica ogni anno che passa peggiore. Senza l’aiuto di nessuna autorità, gli abitanti di alcuni villaggi sulla frontiera di espansione del deserto di Atacama sono ad esempio in grado di raccogliere circa 500.000 litri di acqua all’anno grazie a delle reti antinebbia installate 17 anni fa. Quest’acqua ha permesso loro di far rivivere la vegetazione della loro regione montana e di avviare nuove attività per migliorare la qualità della vita e adattarsi alla siccità. Nell’intera regione stanno prendendo piede altre iniziative simili, volte a sfruttare al meglio le piogge sempre meno frequenti, le quali aiutano anche a trattenere l’acqua per il bestiame e a prevenire l’erosione del suolo e gli smottamenti. Tuttavia – fanno notare le comunità – tutte queste attività rappresentano dei progetti pilota, senza finanziamenti o sostegno politico a lungo termine.
Ancor più sorprendente è che tali iniziative dal basso stanno anche contrastando attivamente l’avanzata del deserto più arido al mondo. Nella Riserva ecologica del Cerro Grande, grazie all’acqua trattenuta dalle comunità attraverso i collettori di nebbia, stanno ad esempio crescendo almeno 30 specie di piante autoctone. Alcune di queste specie sono minacciate, ma qui prosperano nonostante un’apparentemente inarrestabile espansione del deserto di Atacama dovuta al consumo eccessivo di acqua, all’erosione del terreno e ai cambiamenti climatici. Secondo la Corporazione Nazionale delle Foreste del Cile, circa il 23% della superficie totale del Paese è a rischio desertificazione. Diversi studi identificano poi Coquimbo, la regione in cui è localizzata la Riserva del Cerro Grande, come la più colpita del Paese. Ed è qui che inizialmente è stato infatti stabilito, lungo il fiume Copiapó, il limite meridionale di Atacama. Tuttavia, con l’avanzata dell’aridità verso sud, questo confine è diventato sempre più labile. Sul fronte di contrasto dell’espansione del deserto, una delle comunità più attive è quella di Peña Blanca. Una comunità che fino a qualche decennio fa prosperava, ma che ora stenta ad andare avanti. Fino agli anni ’80, oltre il 50% dei terreni di Peña Blanca, che nel complesso coprono una superficie di circa 3.500 ettari, veniva coltivato a grano. Un’attività al tempo estremamente produttiva, ma che ha contribuito ad erodere l’intera area. In contemporanea, le piogge si fecero infatti meno frequenti e gli accordi di libero scambio fecero sì che il Cile cominciasse a importare grano “a prezzi con cui era impossibile competere”. Così, la coltivazione è stata perlopiù abbandonata e con essa la comunità. Oggi, la stragrande maggioranza degli abitanti di Peña Blanca è infatti costituita da anziani che si sono dati all’allevamento di pecore, un’attività di sostentamento comunque difficile a causa della scarsità di acqua e quindi di foraggio.
Nonostante ciò, la comunità è riuscita ad adattarsi lentamente alla nuova realtà, trovando il modo di procurarsi l’acqua e di generare nuove entrate per continuare a vivere a Peña Blanca. «Abbiamo notato la grande quantità di nebbia presente nel Cerro Grande e abbiamo iniziato, insieme alla comunità, a studiarla»,
ha spiegato a
Mongabay Nicolás Schneider, direttore di una fondazione che collabora con la comunità nel contrastare il deserto. Sempre insieme, hanno quindi installato delle reti antinebbia – grandi pannelli di rete su cui si condensano le gocce d’acqua della nebbia – e
hanno ottenuto risultati superiori alle loro aspettative: ogni metro quadrato di rete poteva raccogliere fino a 2.000 litri d’acqua nel corso di un anno. Oggi sono stati installati 252 m2 di reti nebbiogene in quella che ora è la Riserva Ecologica di Cerro Grande. La comunità utilizza quest’acqua, oltreché per sostentarsi, per irrigare la vegetazione naturale dell’area protetta
e gli alberi autoctoni piantati nei progetti di riforestazione. «Oggi, chi conosceva l’area 17 o 20 anni fa potrebbe notare la differenza con un semplice sguardo – ha concluso Daniel Rojas, un nativo della comunità – si può notare il recupero ecologico dalle maggiori dimensioni degli arbusti, dalla quantità di nuove piante e dalla presenza di animali».
[di Simone Valeri]