Gli Stati Uniti sono ormai esplicitamente in una guerra dei dati con Beijing, entità accusata di approfittare del Mercato tecnologico per praticare strategie di spionaggio. Per questo motivo, il Governatore della Florida Ron DeSantis aveva emanato lo scorso settembre un ordine esecutivo con cui ha voluto contrastare l’influenza di “poteri stranieri ostili”, una posizione che il 5 aprile 2023 si è tradotta in una ferrea restrizione all’uso dei droni prodotti dalle aziende cinesi. La norma è stata contestata da più parti, ma sorprendentemente i primi a dirsi insoddisfatti sono proprio i tutori della legge.
Solitamente le titubanze strategiche degli USA si concentrano sugli smartphone, sulle app e sulle videocamere di sorveglianza, tuttavia nella lunga lista dei device da cui stare in guarda figurano anche quei quadricotteri che sono frequentemente adoperati a fini hobbistici. Si tratta di strumenti il cui più importante produttore è DJI, azienda con sede a Shenzhen, Cina. Sono attrezzi economici, portatili e di agile utilizzo che, proprio per la loro praticità, sono stati adottati da diversi organi polizieschi – compresi quelli italiani – al fine di intensificare le strategie di rilevazione e vigilanza delle pattuglie.
Nonostante questi lati positivi, lo stato della Florida ha deciso di prestare orecchio alle preoccupazioni di natura strategica e di assumere una posizione netta, ovvero di imporre requisiti di sicurezza all’uso dei droni che nei fatti vanno a eliminare dal Mercato tutti gli strumenti anche solo lontanamente interconnessi all’Amministrazione Xi-Jinping. Gli agenti lamentano però un problema sostanziale: il made in USA è scadente al punto di essere pericoloso per l’incolumità delle persone. «Nell’arco di un anno e mezzo abbiamo registrato cinque avarie legate ai produttori presenti nella lista [delle entità approvate]. Quelli di DJI non ne hanno registrata nessuna», ha rivelato il Sergente David Cruz al Miami Herald. «Questa legge ci metterà in pericolo. Metterà in pericolo i nostri agenti e il pubblico, quando questi droni cadranno costantemente dal cielo».
Secondo le posizioni raccolte dal Tampa Bay Times, i guasti si estenderebbero a incidenti combustivi che non hanno mancato di spaventare diversi sceriffi, i quali hanno coralmente deciso che non sia opportuno ospitare nella propria volante strumenti che in passato hanno preso fuoco senza alcun preavviso. Gli agenti, insomma, vogliono tornare ad adoperare i droni cinesi, si focalizzano sulle problematiche di piccola scala e poco si curano delle insidie di scala internazionale, le quali sono di contro considerate lontane al punto di essere eteree. Per digerire l’amara pillola, le forze dell’ordine chiedono che siano fornite prove fattuali che l’uso dei quadricotteri sia dannoso per gli Stati Uniti, un requisito che difficilmente può essere dimostrato con puntualità.
Per quanto sia relativamente facile riconoscere che molti apparecchi di matrice cinese inviino dati in direzione dei server dell’azienda madre, ben più complesso è l’attestare che questo procedimento porti a conseguenze dannose per i cittadini. Interrogate a riguardo, le aziende si limitano spesso a sostenere che il passaggio delle informazioni sia necessario a migliorare l’esperienza degli utenti, che sia il mattone fondamentale su cui si poggia l’evoluzione del servizio, e sebbene una simile dichiarazione suoni sempre come una parziale menzogna, resta molto difficile sbugiardarla con fare definitivo. Nel dubbio, DJI è stato inserito nella blacklist statunitense già nel 2020, quindi Washington ha imposto sull’azienda delle restrizioni sul fronte degli investimenti e il Pentagono ha espresso l’idea che i droni di fabbricazione cinese siano legati all’esercito di Beijing, presupposti diplomatici che comunque meritano una certa attenzione.
[di Walter Ferri]