Un colpo al cuore: ecco quel che provo ogni volta che, dopo l’ultima curva del sentiero, mi si para innanzi il cantiere. È un cancro che sta devastando giorno dopo giorno la bellezza viva della Clarea ed ha già inghiottito centinaia di migliaia di alberi, cementificato dieci ettari di prati e boschi, alzato reti e cancelli dove c’erano antichissime vie di collegamento tra paesi e passaggi di accesso all’acqua per gli animali.
Il cantiere TAV sta avanzando verso il basso, si moltiplica a macchia di leopardo lungo la Valle: il fortino del cosiddetto autoporto a San Didero; la voragine aperta nei terreni agricoli di Caselette per seppellire le scorie velenose e il materiale di demolizione; la trivella che a Buttigliera Alta è in funzione giorno e notte tra ville e giardini, nella zona in cui è previsto l’imbocco della galleria sotto la collina morenica di Rivoli.
Del tunnel di base verso la Francia nulla esiste, neppure uno straccio di progetto, nonostante le fandonie giornalistiche propinate all’opinione pubblica da chi vuol far credere che la grande mala opera sta andando avanti e non si può più fermare.
Ad essere contrabbandata come inizio opera c’è solo la galleria geognostica della Maddalena di Chiomonte, già di per sé devastante, scavata al piede di una frana preistorica: una ferita di sette chilometri che la grande fresa ha inferto al corpo vivente della montagna, rendendo più precario il delicato equilibrio degli enormi massi che ne costituiscono l’ossatura. Le fonti che alimentavano gli acquedotti di una vasta zona si sono seccate, mentre le acque scendono copiose lungo le pareti, a formare un vero e proprio canale inquinato dai liquami delle lavorazioni.
Dopo il sottopasso autostradale scendo ai Mulini di Clarea, la piccola frazione caduta in abbandono dopo la costruzione dell’autostrada che ne ha occupato i terreni condannandola all’isolamento.
Era un mondo di mugnai e di montanari, di cui resistono le tracce: i terrazzamenti per i coltivi, le grandi macine tra i muri diroccati, un antico frantoio per l’olio di noci, il torchio dove si pigiavano le uve di Bequet e di Avanà, gli antichi vitigni più forti della filossera.
Ai margini del sentiero, imprigionata tra due sbarramenti di reti, quella che fu il nostro primo presidio, la piccola baita edificata in pochi mesi a partire dall’autunno 2010, inaugurata alla mezzanotte di un Capodanno pieno di neve e di stelle, in quel 2011 che conobbe la nascita e la resistenza della libera repubblica della Maddalena. Tra i suoi muri trovammo rifugio e vivemmo l’ultimo sgombero, nel gennaio 2012. Era bella e viva, costruita con maestria dagli artigiani del movimento, fulcro e strumento di una socialità che ha creato cultura e legami indissolubili. Ora giace in abbandono, i vetri infranti, il tetto che cade a pezzi, intorno un rottamaio di ferri arrugginiti, materiale fatiscente, cumuli di smarino…
Rabbia e tristezza… Vado oltre, lungo il sentiero che improvvisamente si restringe, diventando un camminamento chiuso tra i muri di pietra di quella che fu l’antica viaria e l’imbocco della galleria.
In passato questo era il punto in cui più fervevano le attività: a tutte le ore i piazzali sottostanti erano intasati di macchine in movimento; serrata era la sorveglianza da parte dei militari che ci seguivano oltre le reti, settore per settore. Ma oggi regna uno strano silenzio, come se qualcosa improvvisamente si fosse inceppato nella catena di montaggio della devastazione.
Ma è ora di tornare.
Ripasso l’antico ponte accompagnata dalla voce del torrente. Ai Mulini ritrovo il mondo bello e fraterno che dalla lotta è nato e nella lotta continua. Nel cortile, su un rustico tavolo, é pronto il pranzo condiviso. Nel paiolo cuoce la polenta. C’è allegria; una chitarra suona e qualcuno intona un’antica canzone di resistenza. Una farfalla gialla, la prima della stagione, si posa per un attimo su una giunchiglia, poi vola via.
[di Nicoletta Dosio – da sempre attiva nelle lotte sociali e politiche sul territorio piemontese, è uno dei volti storici del Movimento NO TAV. Condannata ai domiciliari per aver partecipato a una manifestazione pacifica del Movimento, ma rifiutandosi di sottostarvi e divenire così “carceriera di sé stessa”, Nicoletta è stata imputata di almeno 130 evasioni, che le sono valse la condanna a oltre un anno di carcere presso il penitenziario di Torino]
Grandissima questa donna.stima immensa