Negli ultimi giorni ha fatto molto discutere una foto circolata sul web. L’immagine ritrae una coppia di ragazzi: lui intento a scattare una foto, lei in posa e sorridente, seduta su un binario. Un quadretto tutto sommato piuttosto normale, se non fosse che a far da sfondo al ritratto c’è il campo di concentramento di Auschwitz Birkenau, in Polonia, dove sono morte più di un milione di persone.
Today I had one of the most harrowing experiences of my life. Regrettably it didn’t seem everyone there found it quite so poignant. pic.twitter.com/3OdWavqC4P
— Maria 🇬🇧 (@MariaRMGBNews) April 15, 2023
La foto è stata postata da un’utente di Twitter, con la didascalia «oggi ho vissuto una delle esperienze più strazianti della mia vita. Purtroppo non sembrava che tutti lo trovassero così toccante». Il luogo è infatti negli anni diventato il simbolo dell’Olocausto e dello sterminio che il Governo nazista del cancelliere tedesco Adolf Hitler ha portato avanti ai danni i ebrei, omosessuali, persone con disabilità, rom e altre minoranze e oppositori politici. Ma non tutti sembrano cogliere il dolore racchiuso tra quelle mura.
L’atteggiamento avuto dai due (presumibilmente) turisti ritratti in foto, non è così assurdo e raro. Anzi, ogni anno, milioni di persone in tutto il mondo scelgono appositamente di recarsi in alcuni dei luoghi più ‘tristi’ del mondo, teatri di atrocità, incidenti, disastri naturali e morte. Si visitano Paesi governati da dittatori o coinvolti in conflitti e città spazzate via da uragani, territori devastati dalla violenza e luoghi tetri. Una tendenza meglio conosciuta come ‘dark tourism’, o turismo macabro. Un termine coniato nel 1996 da due accademici scozzesi, J. John Lennon e Malcolm Foley, il cui significato però è radicato nei secoli. Come ha notato Craig Wight, professore associato di gestione del turismo presso la Edinburgh Napier University, le persone amano assistere all’orrore da moltissimi anni. Basti pensare alle battaglie dei gladiatori dell’antica Roma seguite dagli spalti, o alla gente ferma in piazza a guardare le impiccagioni pubbliche.
Chi sostiene questo tipo di ‘vacanza’ dice che visitare ad esempio centrali nucleari abbandonate o Paesi in cui si sono verificati genocidi è un modo per comprendere meglio la realtà e la complessità dell’attualità, tuttora divisa tra disastri climatici, guerre e autoritarismo. Secondo Wight il ‘moderno turista oscuro’ di solito si reca in un luogo segnato da una tragedia per creare un collegamento con il luogo.
Ma anche la cultura popolare ci mette del suo. Tant’è che per via del successo registrato da “Chernobyl”, una miniserie che racconta l’esplosione della centrale elettrica del 1986, le compagnie di viaggio che trasportano persone nell’area interessata hanno dichiarato di aver visto un aumento dei visitatori del 30%.
Secondo uno studio pubblicato da Passport-photo.online – e citato dal New York Times – , redatto su un campione di 900 persone, l’82% dei viaggiatori americani ha dichiarato di aver visitato almeno una destinazione di turismo macabro nella propria vita. Mentre più della metà degli intervistati ha dichiarato di essere propenso a recarsi in ex zone di guerra, circa il 30% ha affermato che, una volta terminata la guerra in Ucraina, avrebbe il desiderio di visitare l’acciaieria di Azovstal, dove i soldati ucraini hanno resistito per mesi alle forze russe.
Tuttavia non ci sono statistiche ufficiali su quante persone si avvicinino a questo tipo di turismo, ma negli anni sono nati molti siti web che organizzano tour oppure offrono guide di viaggio nei principali Paesi di destinazione in materia (quello più famoso è Dark-Tourism.com, che include quasi 900 luoghi in 112 Stati).
A prescindere da quello che spinga un turista del macabro a visitare certi posti o a scattarsi una foto dove si è consumata una tragedia (immedesimazione? Morbosità?), tale tendenza suscita sempre una certa indignazione.
Tant’è che nel 2019 i responsabili dell’Ossario di Sedlec, una piccola cappella cristiana in Repubblica Ceca, hanno deciso di vietare foto e selfie davanti alla struttura per via della ripetuta mancanza di rispetto dei turisti. Alcuni di loro, per immortalarsi in scatti ancora più macabri, sono arrivati persino a staccare le ossa dai muri per tenerle in mano, profanando un luogo sacro.
Tuttavia scattare una foto non può essere un gesto da condannare, a prescindere. Certo, sebbene trovare un senso ad un selfie fatto davanti al campo di concentramento di Auschwitz è un’impresa piuttosto difficile, immortalare un’immagine con il proprio cellulare non è per forza sinonimo di insensibilità. I tempi e le abitudini cambiano, e quello visivo è il linguaggio che ad esempio gli adolescenti preferiscono. Ovviamente a condizione che questo venga usato con cognizione.
[di Gloria Ferrari]
Dicevano gli antichi Romani, il popolo più saggio della Storia “Mors tua vita mea”. Probabilmente i turisti dei posti “dell’orrore” vanno in questi posti per riconfermare di essere stati enormemente FORTUNATI a non essere le VITTIME di questi posti. Alla fine il messaggio implicito della foto di questi turisti è proprio questo “Ecco io ora sono qui ma per fortuna NON come vittima. Evviva!”
Semplicemente, non è un luogo turistico.