I nuovi dati diffusi da Eurostat smentiscono uno dei tanti luoghi comuni secondo il quale il “cuneo” italiano sarebbe insostenibile per le imprese. Una “vulgata” che non soltanto è dura a morire, ma che viene rilanciata ciclicamente dai media mainstream e dalle istituzioni, piegando le statistiche ai propri interessi.
È il caso della vicepresidente del Senato Maria Domenica Castellone, esponente del Movimento 5 Stelle, che l’8 marzo scorso, in un’intervista a La Stampa, ha scatenato accese polemiche, dichiarando che i salari in Italia sono i «più bassi d’Europa».
Fuorviante anche un articolo riportato dal sito di Confalavoro: “Lavoro, Italia al terzo posto in Europa per costi non salariali”. Nel pezzo si riportano le dichiarazioni del presidente Roberto Capobianco che biasima il costo del lavoro in Italia come «ancora troppo alto» e dipinge il nostro Paese addirittura come la «maglia nera in Europa». Non solo si tratta di una esagerazione, ma anche di un adagio volto a dipingere l’Italia come la Cenerentola d’Europa, che rimbalza da anni sui maggiori quotidiani: dal Corriere a La Stampa.
Secondo quanto riportato da Eurostat, invece, i salari orari mediani in Italia sono gli undicesimi più alti tra i 27 Stati UE, contro una media degli Stati membri pari a 13,2 euro e una media dei 19 Paesi che adottano l’euro pari a 14,5, sia considerando il valore lordo in euro sia considerando la parità di potere d’acquisto.
Secondo i dati più recenti, nel 2018 in Italia la retribuzione oraria mediana era pari a 12,6 euro lordi. Tra gli altri grandi Paesi europei, la retribuzione mediana oraria era di 17,2 euro in Germania e di 15,3 euro in Francia, mentre in Spagna era di 10 euro. Al primo posto c’era la Danimarca (27,2 euro), all’ultimo la Bulgaria (2,4 euro).
Veniamo ora al costo orario medio del lavoro sostenuto dai datori (compresi contributi, tasse ed eventuali bonus): se la media UE è di 30,5 euro (34,3 euro nell’intera area dell’euro), Bulgaria e Romania sono lontane con 8,2 euro e 9,5 euro (non a caso sono i Paesi nei quali tendono a delocalizzare le aziende che puntano a tagliare i costi). In cima alla graduatoria Lussemburgo (50,7 euro).
In Italia è inferiore la media: il costo orario del lavoro è di 29,4 euro all’ora, un valore che è 3-4 volte più alto rispetto ai due Paesi dell’Est europeo meno cari ma molto sotto i 39,5 euro della Germania e i 40,8 euro della Francia. I costi più alti si pagano, come come anticipato, in Lussemburgo (50,7 euro), a seguire Danimarca (46,8 euro) e Belgio (43,5 euro). In mezzo si trovano Spagna (23,5 euro) e Portogallo (16,1 euro).
Nel 2022 il costo orario del lavoro a livello dell’intera economia, espresso in euro, è aumentato del 5% nell’UE e del 4,7% nell’area dell’euro. All’interno della zona euro, il costo orario del lavoro è aumentato in tutti gli Stati membri.
Anche in questo caso, troviamo parecchia disinformazione e il consueto piagnisteo. Prendiamo per esempio Il Sole 24 ore che titola Lavoro: in Italia costo medio orario di 29,4 euro, tre volte quello di Bulgaria e Romania. I dati corretti, infatti, non giustificano l’allarmismo e l’associazione con la Bulgaria e la Romania è capziosa. Se è il valore è tre volte questi Paesi, veri e propri fanalini di coda, è pur vero che è quasi la metà di Francia e Germania.
Evidentemente, il valore è nell’occhio di chi guarda.
[di Enrica Perucchietti]
Il mio stipendio, come quello della media dei miei colleghi , è rimasto pressoché invariato in questi ultimi vent’anni . Il mio potere d’acquisto è dimezzato . E stendo un velo pietoso rispetto a quando venivo pagato in lire. Il mio stipendio, da dipendente, era di 3.600.000 lire, nette, al netto delle tasse. Ero un signore. Ora penso che non avrò neppure la pensione. L’ INPS, da un anno, manco risponde alle mie richieste di informazioni.
cavolo, stai da vedere che rivedono i salari.
Stiamo guadagnando troppo.
Si potrebbe spedire i redattori del Sole24h a vivere in Romania o a scelta in Bulgaria…
Non mi risultano queste cifre…
infatti il potere d’acquisto è in calo da 40 anni
No in questo articolo c’è un errore di fondo: bisogna considerare il COSTO DELLA VITA. Non a caso prima si faceva una classifica degli stati per PIL pro-capite nominale ora si fa per PIL (PPA) pro-capite quindi corretto col costo della vita. Se è vero che le aziende italiane delocalizzano in Romania perchè lì il lavoro costa meno è altrettanto vero che in Romania, dove gli stipendi sono mediamente 100€ mensili nelle grandi città, con 400€ fai una vita da nababbo e la società italiana che ha delocalizzato in Romania ha cmq risparmiato. Quindi per avere dei parametri veramente OBIETTIVI il salario medio va PARAMETRATO al costo della vita di quello Stato.