giovedì 21 Novembre 2024

La deriva illegale della sorveglianza italiana

Il Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, vuole che l’Italia punti con decisione sul riconoscimento facciale al fine di garantire maggiore sicurezza alla nazione. Il politico sostiene che siano state avviate interlocuzioni con il Garante della privacy al fine di capire come sia possibile concretizzare il suo sogno senza calpestare del tutto i diritti alla riservatezza del cittadino, tuttavia sarà difficile trovare una quadra senza violare o ritoccare le leggi esistenti.

«La videosorveglianza è uno strumento ormai unanimemente riconosciuto come fondamentale. La sua progressiva estensione è obiettivo condiviso con tutti i sindaci. Il riconoscimento facciale dà ulteriori e significative possibilità di prevenzione e indagine», dichiara Piantedosi alle pagine del Quotidiano Nazionale. Lo stesso Ministro ammette che «la situazione sta migliorando», che i crimini efferati sono in calo e che le metropoli nostrane siano più sicure delle analoghe europee, tuttavia  «siamo in una condizione in cui la cittadinanza vive una crescita dei contesti di emarginazione, la perdita di alcuni punti di riferimento».

Per Piantedosi, la soluzione al degrado della società è quindi legata alla maggiore presenza dissuasiva delle Forze dell’ordine, allo sfruttamento delle tecnologie di riconoscimento biometrico, ai rimpatri e alle espulsioni degli stranieri. Tralasciando l’esercizio di bipensiero in cui il diplomatico vanta come i crimini siano in calo per poi citare cruenti episodi di cronaca al fine di giustificare l’introduzione di soluzioni draconiane, sorvolando le affermazioni di stampo xenofobo che suggeriscono tacitamente che ogni male sia legato all’immigrazione, resta il fatto che il progetto di Piantedosi non sia compatibile con la legge. E lo sappiamo per esperienza.

Per evitare l’effetto “Grande Fratello”, nonché per rispettare i diritti costituzionali, l’Italia ha adottato una moratoria che vieta l’installazione e l’uso di sistemi di riconoscimento facciale tramite dati biometrici, un blocco che è in vigore fino alla creazione di una legge specifica che vada a normare la materia o, in ogni caso, fino al 31 dicembre 2023. I legislatori si sono assicurati di garantire degli spazi di manovra per le indagini della magistratura e la prevenzione dei reati, tuttavia le restrizioni in atto impongono un approccio tanto eccezionale da rendere impraticabile l’effettiva sorveglianza di massa. 

I Comuni italiani che in passato hanno perseguito la direzione del controllo automatizzato si sono scontrati con il parere avverso del Garante e persino il Sari Real Time voluto dalla polizia di Stato è stato bocciato senza troppe cerimonie. Anche ammesso che le telecamere con riconoscimento facciale siano avviate il primo gennaio dell’anno venturo, le mire di Piantedosi si scontrano con le realtà Comunitarie che si stanno venendo a delineare. L’Unione Europea ha infatti recentemente delineato la bozza definitiva del cosiddetto AI Act, un pacchetto di leggi che ha intenzione di vietare esplicitamente il tracciamento dei dati biometrici in tempo reale, ma che prevede anche di impedire l’utilizzo di intelligenze artificiali al fine di processare video d’archivio.

Il vicepresidente della Camera e rappresentante di Forza Italia, Giorgio Mulè, ha offerto sostegno al collega dipingendo il riconoscimento facciale al pari di un «identikit» odierno. Si tratta di un paragone azzeccato, ma che scarsamente si dimostra un buon sostegno per l’esecutivo. Le ricostruzioni grafiche prodotte ascoltando le memorie di un testimone e gli strumenti di riconoscimento facciale hanno infatti un elemento in comune: sono entrambe poco affidabili e controverse.

[di Walter Ferri]

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