Continua il processo nei confronti degli attivisti del centro sociale torinese Askatasuna, particolarmente attivo nelle proteste contro la TAV in Val di Susa. L’anno scorso la Procura di Torino li ha accusati di formare un’associazione a delinquere; nelle varie udienze del processo, si sono aggiunti dettagli alla spesa che lo Stato italiano sostiene ogni giorno per proteggere i siti preparatori della TAV da contestazioni. In Aula è emerso che, durante il processo di militarizzazione del territorio, sono stati spesi negli ultimi 10 anni circa 30 milioni di euro in filo spinato, jersey di cemento e barriere alte 5 metri sparse tra i boschi, elementi che hanno rovinato il volto naturale dell’area, come raccontato da Nicoletta Dosio in un articolo de L’Indipendente.
Maurizio Bufalini, direttore di TELT e dunque dell’azienda che si occupa del cantiere TAV, ha rassicurato i presenti affermando che i costi per la militarizzazione dell’area sono stati tutti a carico dell’impresa da lui presieduta. La TELT è però un soggetto finanziato con soldi pubblici provenienti quindi anche dai tanti no TAV che abitano la Val Susa e tutta la penisola. In un’altra udienza del processo agli attivisti di Askatasuna, lo Stato ha chiesto un risarcimento per la prolungata esposizione dei poliziotti ai gas lacrimogeni utilizzati per sedare le proteste dei manifestanti. Un risarcimento che nasconde un’ammissione, relativa alla pericolosità e alla tossicità dei gas lacrimogeni, classificati come armi chimiche ma utilizzati in tutto il mondo per sedare le proteste.
A maggio 2022, abbiamo parlato di un’altra spesa relativa alla TAV: si trattava dell’opera collaterale dell’autoporto di San Didero. L’area è stata delimitata da recinzioni e filo spinato e sorvegliata giorno e notte da decine di carabinieri e poliziotti, per un costo totale di oltre 5 milioni di euro. Un’area fantasma, con i lavori bloccati da problemi vari nell’assegnazione dell’appalto.
[di Salvatore Toscano]