Luiz Inácio Lula da Silva, Presidente del Brasile, ha riconosciuto 6 territori come ufficialmente appartenenti alle comunità indigene, collocati principalmente in Amazzonia e che si estendono per una superficie di poco più di 1200 chilometri quadrati. L’azione di Lula, che rientra fra quelle promesse che lo stesso ha pronunciato davanti ai suoi elettori, ha principalmente lo scopo di proteggere la foresta pluviale dallo sfruttamento incontrollato delle sue risorse – come invece aveva incoraggiato a fare l’ex Presidente di estrema destra, Jair Bolsonaro.
In base ai nuovi accordi, è previsto che la terra rimanga formalmente sotto la giurisdizione del Governo federale, ma che le popolazioni indigene ne possano disporre secondo le loro abitudini e tradizioni – basate sul rispetto e l’amore per la natura. Di conseguenza, le attività minerarie saranno totalmente vietate e l’agricoltura e il disboscamento per scopi commerciali – e non di sussistenza per i gruppi locali – avranno bisogno di autorizzazioni specifiche. In generale, in queste territori le persone non indigene non potranno intraprendere alcuna attività economica.
La foresta pluviale amazzonica, l’area interessata dal provvedimento di Lula, è un punto strategico e di vitale importanza non solo per chi ci vive attorno. La sua superficie, grande il doppio dell’India, è riuscita negli anni ad assorbire enormi quantità di carbonio, divenendo di fatto una risorsa preziosa contro il cambiamento climatico. Bruciare o tagliare gli alberi, quindi, significa rimettere in circolo tutta la CO2 che sono stati in grado di rimuovere dall’ambiente. Una pratica che chi vive in quei territori conosce bene visto che, con Bolsonaro, la deforestazione ha toccato livelli record per via dello spazio concesso a minatori illegali e usurpatori della terra.
Se per alcuni il riconoscimento dei territori è una notizia che merita di essere festeggiata, per altri a prevalere è un certo malcontento, per diversi motivi. Il primo è che quanto stabilito da Lula in realtà non assicura totale protezione alla foresta pluviale, visto che molti alleati di Bolsonaro sono ancora al comando del maggior parte degli Stati ‘amazzonici’. Inoltre, sebbene nei fatti l’attuale Presidente si stia mostrando relativamente in linea con le promesse ambientali fatte in campagna elettorale – ad esempio lo scorso febbraio ha avviato un procedimento per espellere i cercatori d’oro illegali dal territorio indigeno yanomami –, per alcuni gruppi locali si tratta di azioni ancora insufficienti.
Il Paese ha infatti 733 territori che attendono di essere riconosciuti agli indigeni. Quelli appena attribuiti, infatti, rappresentano solo una minuscola parte del numero totale.
[di Gloria Ferrari]
Non c’è solo il Brasile. In Patagonia i Benetton (quelli che vendono facendo leva sui sentimentalismi delle persone con le pubblicità con bambini di tutte le etnie ve li ricordate?) hanno CACCIATO il popolo nativo dei mapuche per far posto ai loro immensi allevamenti. I Mapuche tutt’oggi rivendicano diritti ancestrali su quelle terre.