In Ecuador, la Corte Costituzionale ha dato il via libera alla convocazione di un referendum popolare finalizzato a decidere sul proseguimento, o sullo stop definitivo, dello sfruttamento di un giacimento petrolifero situato nel cuore dell’Amazzonia. Una richiesta che va incontro a quanto richiesto dai movimenti ecologisti e indigeni in una lunga battaglia che dura da anni. L’attività estrattiva oggetto di voto è situata nella Riserva naturale di Yasuní, una zona ricca di aree umide fondamentali per la biodiversità locale. Motivo per cui, già nel 2013, l’associazione ecologista Yasunidos aveva per la prima volta chiesto alla Corte di autorizzare una consultazione referendaria sul progetto. Dopo ripetute richieste in questo senso, solo in questi giorni è stata accolta la volontà dei movimenti. Il referendum verrà indetto entro 75 giorni e potrebbe portare alla fine della produzione petrolifera nel sito, ad oggi, pari a circa 55 mila barili di greggio al giorno.
Sempre nel lontano 2013, la presidenza progressista di allora, guidata da Rafael Correa, aveva cercato di bloccare il progetto, anche a costo di dar vita ad un piano internazionale di compensazione in nome della tutela dell’ambiente, per poi però cedere alla sua approvazione. Dieci anni fa, a remare contro la controversa decisione di trivellare nel bel mezzo dell’Amazzonia, vi erano anche gli indigeni che ancora oggi abitano le terre della Riserva Yasuní. Ad ottobre 2013, un significativo gruppo di abitanti della regione interessata dal progetto arrivo anche al punto di manifestare nella capitale del paese, Quito. «Difendo la mia identità e la mia terra. Non permetterò lo sfruttamento degli idrocarburi a Yasuni», dichiarò al tempo, all’agenzia AFP, Rosa Gualinga, una delle centinaia di indigeni presenti alla protesta. Ciononostante, il Congresso dell’Ecuador votò comunque a favore dell’esplorazione alla ricerca di greggio nell’area, dove, secondo le stime, si concentra il 20% delle riserve nazionali, circa 920 milioni di barili.
Ora che la Corte Costituzionale ha annunciato in un comunicato di aver “espresso parere favorevole alla richiesta di consultazione popolare” le cose potrebbero cambiare radicalmente. Laddove al referendum dovesse vincere il “sì”, lo stop all’estrazione petrolifera dovrà essere attuato entro e non oltre un anno. Tuttavia va precisato che, almeno inizialmente, si tratterà solo di una progressiva dismissione del pozzo petrolifero. E ad ogni modo, l’Ecuador non è affatto sulla piena via della transizione ecologica. Ad oggi, il Paese sudamericano è infatti guidato da un governo conservatore, il cui presidente Guillermo Lasso ha reso noto di voler puntare ancora molto sui combustibili fossili. Allo stato attuale, in Ecuador vengono estratti in media 469 mila barili al giorno, due terzi dei quali sono destinati alle esportazioni. L’obiettivo del governo Lasso, nonostante gli impegni assunti dalla comunità internazionale per limitare le emissioni di gas ad effetto serra, sarebbe quello di raddoppiare la produzione fossile.
[di Simone Valeri]