martedì 5 Novembre 2024

“L’educazione non ha prezzo”: così un liceo romano ha rifiutato 300.000 euro del PNRR

A Roma, a pochi passi dalla stazione Termini, sorge il liceo classico “Pilo Albertelli”. Divenuto negli anni famoso per gli alunni che ha ospitato, da Enrico Fermi a Ettore Scola, la scuola intitolata a una delle vittime delle Fosse Ardeatine è ritornata a far parlare di sé per una scelta didattica controcorrente. Il consiglio d’istituto ha infatti rigettato due progetti finanziati con quasi 300mila euro provenienti dal PNRR: “Next Generation Labs” e “Next Generation Classroom”, che fanno parte del piano nazionale Scuola 4.0, varato dal governo Draghi e volto alla trasformazione del sistema didattico. Il consiglio d’istituto si è opposto all’idea di far diventare le classi tradizionali «laboratori per le professioni digitali del futuro». «I nostri figli devono imparare la Storia, tradurre dal Greco e avere capacità critica», hanno sostenuto insegnanti e genitori criticando l’ascesa della tecnologia nelle scuole. Gli eredi di Albertelli hanno chiesto al consiglio d’istituto di rivedere la sua decisione; per domani è attesa un’assemblea plenaria sul tema.

Il progetto “Next Generation Classroom” è rivolto a 20 sezioni dell’istituto, per le quali la dirigenza acquisterebbe – con 149mila euro dei fondi europei – una strumentazione digitale moderna «per migliorare la didattica, favorendo inclusione e collaborazione tra pari». I nuovi strumenti, come lavagne digitali e tablet, saranno completati da software che saranno di ausilio alle singole discipline «con grande attenzione all’aspetto professionale ma al contempo accattivante e ludico. La didattica personalizzata permetterà agli alunni deboli di recuperare al meglio le abilità di base e agli alunni eccellenti di raggiungere nuovi traguardi», si legge nel progetto. A livello nazionale, e dunque nell’ambito della Scuola 4.0, il “Next Generation Classrooms” ha l’obiettivo di trasformare almeno 100mila aule delle scuole primarie, secondarie di primo grado e secondarie di secondo grado, in ambienti innovativi di apprendimento: le cosiddette classi multimediali.

In vista di nuovi indirizzi di studio «più all’avanguardia», “Next Generation Labs” intende realizzare laboratori per le professioni digitali del futuro nelle scuole secondarie di secondo grado. Il liceo Albertelli utilizzerebbe 124mila euro del PNRR per tre progetti: “Info Bibliolab”, che prevede l’istituzione di una webradio e di un laboratorio di grafica digitale e  videomaking; “Spazio Museale Schola”, che offrirebbe «ai visitatori un’esperienza di navigazione immersiva e interattiva»; “Le mie competenze digitali”, attraverso cui gli alunni migliorerebbero le proprie competenze digitali. Si tratta, nello specifico, di corsi per l’ICDL e per le certificazioni professionali ICT. Dunque laboratori e approfondimenti extra che si aggiungono allo studio preesistente, il che comporta per gli studenti o il sacrificio della socialità o il tralasciamento delle vecchie materie.

I progetti citati sono già realtà negli istituti tecnici o professionali, in particolare negli indirizzi di grafica e comunicazione, volti al conseguimento di un “diploma finito” che permette l’immissione nel mondo del lavoro senza ulteriori livelli di istruzione. I licei, invece, sono pensati per una formazione universale, che presuppongono una specializzazione attraverso il continuamento degli studi. Due percorsi che rispondono a interessi, volontà, necessità diverse degli studenti. Negli anni si è tuttavia assistito a un livellamento, a una convergenza tra i due percorsi. Ne è un esempio l’introduzione dell’alternanza scuola-lavoro.

Per quanto riguarda il liceo Albertelli, il consiglio d’istituto ha bocciato le proposte avanzate dal dirigente scolastico perché stridono con la natura e «gli obiettivi di un liceo». Inoltre, relativamente all’acquisto di nuova strumentazione tecnologica, genitori e professori hanno fatto notare che in possesso dell’istituto ci sono già 41 smart TV, 7 proiettori, 49 pc notebook e 41 pc desktop, definendo irrazionale la spesa per ulteriori attrezzature multimediali «che hanno una vita brevissima e che quindi acuiscono, non arginano, la percezione di vivere in un mondo effimero». L’aumento della dotazione tecnologica è stata contestata anche dal punto di vista educativo: «Molte parole vengono spese sul benessere emotivo e lo stimolo relazionale, sullo sviluppo dell’empatia degli studenti o sul rendere protagonista l’alunno che si avvicina sempre di più alla scelta consapevole del proprio ruolo nella società, senza che però vi sia alcuna spiegazione o evidenza su come i dispositivi digitali possano concorrere a questi obiettivi. Neanche una parola invece è riservata alla profondità delle conoscenze che sono necessarie per comprendere – e non solo subire – una società sempre più complessa».

L’introduzione della tecnologia nelle scuole, e più in generale l’avvento della tecnica, è un tema ampiamente discusso da studiosi passati e contemporanei. «Esorterei i professori a usare meno il computer. A che serve? Gli studenti, nativi digitali, ne sanno più di chi dovrebbe insegnare loro l’informatica. Ai ragazzi internet fornisce, dopo anni di guerra al nozionismo, un’infinità di informazioni slegate tra loro, ma non regala senso critico, connessione dei dati e, quindi, conoscenza. I maestri hanno il compito di sviluppare il senso critico e mettere in connessione i dati», ha dichiarato il filosofo Umberto Galimberti. A scuola dovrebbe avvenire l’esaltazione delle “cose inutili” (greco antico, latino, filosofia, matematica pura) – come le ha definite Agnes Heller – «perché così all’età di 18 anni si ha un bagaglio di sapere inutile con cui si può fare tutto. Mentre col sapere utile si possono fare solo piccole cose». Qualche anno prima, osservando l’Italia del boom economico, lo scrittore Pier Paolo Pasolini aveva criticato e profetizzato l’ascesa della tecnica, che rischia di «uccidere l’umanità, vale a dire l’umano nell’uomo». Per questo motivo, «fermarsi, rifiutare una situazione, cercare per altre vie, porsi degli interrogativi, in una parola educarsi, significa sottoporsi a una tale tensione, a una marcia controcorrente così faticosa che solo un’élite (e domani una superélite) potrà permettersi».

[di Salvatore Toscano]

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6 Commenti

  1. Non sono d’accordo. Intanto come scuola ti prendi i fondi e accetti i corsi, poi sono i professori che devono MODELLARE i corsi secondo le loro esigenze. Mi sempra la paura delle prime automobili, ai tempi molti le vedevano come qualcosa di mostruoso e che potesse condizionare l’Uomo. E’ l?uomo che deve comandare la tecnologia. Quando scrivete “eh ma già i ragazzi conoscono la tecnologia digitale…” E perchè i professori non dovrero conoscerla? Per l’età? Bisogna evolevere insieme al progresso senza farsi influenzare dal progresso anzi orientando le nuove tecnologie alle nostre necessità..

    • Non credo proprio, i fondi del PNRR sono strettamente vincolati a degli obiettivi, c’è poco da modellare, sono come un ricatto, “ti do i soldi solo se…”. Prendi i soldi, e vendi l’anima. Mi piacciono tantissimo questi professori che ancora intendono la scuola, e nello specifico un liceo, come un luogo dove educare le persone al sapere e alla formazione di un libero pensiero, e non indottrinarle e formarne dei soldatini pronti ad obbedire al potente di turno. Bravissimi!!!

  2. Talmente bello che non sembra vero! Dunque esistono ancora persone che pensano, che non guardano il dito ma un po’ più in là. Grazie Salvatore per questa buona nuova. Speriamo che i genitori e il consiglio d’istituto riescano a resistere!

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